Con la sua fotografia “rende l’invisibile visibile”. Il privilegio e la responsabilità di avere la basilica di San Pietro deserta e la Pietà di Michelangelo tutta per sé. Ha ritratto i più grandi artisti italiani della seconda metà del Novecento, da Burri a Kounellis, da De Chirico a Paladino, senza perdere l’ironia e senza considerarsi artista.

 

Aldo Mondino Parigi 1973 Aurelio Amendola

Aldo Mondino a Parigi nel 1973 ritratto da Aurelio Amendola (Dettaglio)

 

Aurelio Amendola è uno di quei pochissimi fotografi italiani che hanno scelto di fotografare l’arte e gli artisti. Pochi ma buoni se pensiamo oltre che al suo, a nomi come Ugo Mulas, Claudio Abate e Mimmo Jodice. Nato nel 1938, come racconta nell’intervista si avvicina all’arte per caso ma ne diventa in breve tempo interprete di fortissima personalità. I suoi scatti così riconoscibili compongono con gli anni un album ricco sia di ritratti che di happening, come lui chiama le serie in cui riprende autrici e autori in azione nei loro studi o nelle loro mostre. Accanto al lavoro sui contemporanei Amendola ha continuato a sviluppare quello sulla scultura e sull’architettura dei secoli scorsi, con interpretazioni di Michelangelo e Bernini probabilmente senza eguali per qualità. Spiritoso e disponibile come solo i grandi sanno essere, ci ha raccontato di come ha conosciuto e lavorato con i più noti artisti del secondo Novecento italiano, di come sono nati alcuni dei suoi scatti iconici (e qui l’aggettivo è sacrosanto) come le combustioni di Alberto Burri o il Giorgio De Chirico in gondola con lo sfondo di Palazzo Ducale a Venezia. Testimone e interprete di un mondo dell’arte in cui c’era solidarietà «non come adesso che si odian tutti» — parole sue — che ancora realizza progetti stupefacenti, basti pensare alle foto di Matera del 2019.

Lei ha sempre vissuto a Pistoia?

Sì, solo alla fine degli anni Sessanta e agli inizi dei Settanta avevo un pied-à-terre a Milano insieme allo scultore Nello Finotti e allo storico Gianlorenzo Merlini.

L’essere nato e cresciuto in quella città pensa che abbia influito in qualche modo sul suo stile, sul suo gusto?

Proprio non c’entra niente! A Pistoia son vivaisti, di fotografia non c’era niente a quei tempi. Sì c’è nato Marino Marini, che non è poco. C’è nato Mauro Bolognini con cui ho fatto due film come fotografo di scena, poi sono scappato perché quello non è il mio mondo. No, credo proprio non abbia influito per niente.

 

 

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L'articolo integrale è pubblicato nel n. 4 di Awand, estate 2022.
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Antonio Ant Cornacchia
Antonio Ant Cornacchia
Grafico, art director, giornalista. Ha studiato all'Accademia delle Belle Arti. È il fondatore e direttore di Awand. C'è chi lo chiama Ant, che sta per formica.

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