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Ultimo grande caposcuola dell’arte del manifesto cinematografico in Italia, Renato Casaro con i suoi bozzetti e una produzione sterminata ha attraversato 50 anni di cinema. Ora che il cinema dipinto finalmente ottiene il riconoscimento che merita il futuro è tutto da scrivere, o da disegnare: «Penso che ci siano giovani che vorranno portare avanti questa tradizione, innovandola.»

renato casaro

 

A partire dal dopoguerra l’Italia ha prodotto una scuola, unica nel suo genere, di pittori e disegnatori specializzati nella illustrazione del manifesto cinematografico. Renato Casaro, classe 1935, con alle spalle oltre mezzo secolo di attività e migliaia di bozzetti per il cinema, è l’ultimo grande esponente di questa tradizione. Lo abbiamo incontrato per tracciare il percorso della sua lunga carriera, costellata di collaborazioni e riconoscimenti importanti.

Le sue biografie riportano l’aneddoto secondo cui, giovanissimo, veniva pagato per i suoi primi lavori con ingressi al cinema.

Certo. Poter andare al cinema gratis era il sogno di tutti noi ragazzi. La sala cinematografica era il massimo divertimento, soprattutto per me che avevo il cinema nel sangue. Fu il Cinema Garibaldi a Treviso a commissionarmi dei disegni per alcuni sagomati che illustravano i film in uscita la settimana successiva. Io preparavo i disegni, che venivano fotografati e spediti a Roma alla Lux, la casa di distribuzione. Il primo film per cui lavorai fu l’Ulisse (1954) di Mario Camerini, con Kirk Douglas. Fu il mio primissimo lavoro, avevo 18 o 19 anni. Da lì nacque il mio rapporto stretto con il cinema e il mio desiderio di lavorare creando immagini che potessero attrarre gli spettatori al cinema. Io per primo ero molto affascinato dai manifesti cinematografici.

Quali erano i film che vedeva da bambino?

I Tarzan con Johnny Weissmuller mi entusiasmavano tantissimo. Non ne perdevo uno. E poi gli avventurosi, i western come Ombre Rosse (1939), che arrivò in Italia dopo la guerra. Scoprire quel cinema era scoprire l’America, nuovi mondi.

Che percorso ha seguito la sua formazione da un punto di vista tecnico?

Sono un autodidatta. Quando ho cominciato non esisteva una scuola specifica di illustrazione in ambito pubblicitario. L’accademia per esempio non era per me, mi avrebbe portato in altre direzioni. Oltre a lavorare per il cinema Garibaldi, appena finita la scuola superiore entrai come impiegato in una grande tipografia di Treviso, la Longo e Zoppelli, molto attiva in ambito pubblicitario. In quella tipografia ho assorbito i concetti basilari della grafica pubblicitaria, fondamentali nella costruzione di una immagine, di un manifesto. E mi sono appropriato di tanti trucchi del mestiere sulle composizioni, le dinamiche, la creazione dell’immagine da un punto di vista tecnico. Tutto questo era importante per poi applicarlo alla illustrazione. In contemporanea mi esercitavo anche a casa sul disegno, ispirandomi alle locandine dei grandi maestri.

 

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L'articolo integrale è pubblicato nel n. 12 di Awand, estate 2024.
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Stefano Lorusso
Stefano Lorusso

Medico e cinefilo, affianca da anni al camice bianco l’amore per il cinema, considerandolo la migliore delle terapie. È stato collaboratore della riviste Nocturno e  I-filmsonline. Dal  2010 è nella redazione di Paper Street , per cui segue ogni anno la Mostra del Cinema di Venezia.  È autore di saggi pubblicati sulle raccolte Il Divo di Paolo Sorrentino – La grandezza dell’enigma (2012) e Cento registi per cui vale la pena vivere (2015), editi da Falsopiano. Ha collaborato alla creazione del portale Longtake con schede sul cinema di Spielberg, Antonioni, Rosi, Wenders. Nel 2017 fonda il circolo di cultura cinematografica “Formiche Verdi”, attivo nell’organizzazione di numerose manifestazioni e rassegne. Speaker radiofonico, cineblogger, collezionista, esplora il cinema in molte direzioni, dalla ricerca musicale a quella iconografica legata alla produzione di manifesti e locandine.

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