A 22 anni l’esordio sull’Unità con Staino, a 24 comincia l’avventura con Il Fatto, costellata di querele, accuse di sessismo e tanta libertà. «La nostra società non è sufficientemente in grado di leggere e capire un discorso satirico. Non è capace di fare una riflessione più profonda, che abbia un secondo livello di lettura. In Francia invece questa cosa la posseggono da molto tempo. Il brutto quindi è non essere capiti neppure da persone intelligenti e di cultura. Il bello è… la stessa cosa».

Mario Natangelo in un ritratto di Andrea D’Elia
Non si è fatto mancare nulla Mario Natangelo: giornalista professionista, vignettista e disegnatore di strip e fumetti, giramondo e autore di personalissimi reportage grafici che realizza durante i suoi innumerevoli viaggi. Insomma uno che si sceglie la sua vita, rinunciando a una laurea in Giurisprudenza a tre esami dal traguardo. Ma, come accade a coloro che con la satira pungono il potere, non si è fatto mancare neppure querele e processini dell’Ordine dei Giornalisti. Non ultima l’offensiva della Presidente del Consiglio e famiglia al completo. Lo intervistiamo quando è appena rientrato dal Messico portandosi dietro il suo nuovo diario illustrato che, come ci racconta, è una cosa che appartiene solo a lui e difficilmente sarà mai pubblicato.
A 22 anni esordivi a L’Unità e a 24 eri nella squadra del Fatto Quotidiano già dal primo numero e, ora che ne hai 39, hai già collezionato un bel po’ di querele per le tue vignette di satira politica. Insomma sei tra i pochi giovani vignettisti in un Paese per vecchi. È solo un caso?
Penso invece che questo è dovuto al fatto che si siano ulteriormente ridotti gli spazi. Quando ho cominciato io c’era un maggiore fermento. Ma ricordo anche che i miei coetanei, o anche disegnatori più grandi di me, si lamentavano perché ritenevano che non ci fosse abbastanza spazio. D’altra parte i quotidiani erano occupati da vignettisti di grosso calibro, disegnatori storici con un’età decisamente più avanzata. Lo spazio per gli esordienti era di fatto nullo. La fortuna mia è stata la nascita di un nuovo giornale proprio quando potevo formarmi come vignettista. Il Fatto Quotidiano mi ha dato un lavoro e mi ha formato.
Ma avevi cominciato come freelance collaborando con L’Unità, sull’inserto satirico Emme, diretto da Sergio Staino. Come anche la collaborazione a Smemoranda o la travagliata collaborazione con Tempi, il settimanale cattolico vicino a Comunione e Liberazione. In quest’ultima esperienza ti cacciarono loro o sei andato via per tua scelta?
Beh quella è una storia molto successiva (era il 2017, n.d.r.). Io già lavoravo a Il Fatto Quotidiano. Alessandro Giuli, il direttore della rivista Tempi, persona decisamente di destra, mi fece una corte spietata. Mi chiamava continuamente e io non davo la mia disponibilità. Poi ci furono i buoni uffici di Vincino a convincermi di accettare. Lui già collaborava con loro e mi disse testualmente “vai tranquillo, vedrai che ti daranno libertà”. Del resto aggiungere un po’ di quattrini da un giornale di destra non mi dispiaceva. Perciò concordiamo sul compenso, sul contratto ma non funziona. Io, per mio spirito, vado dritto su argomenti che evidentemente non erano ben accetti.
Gli proponevi vignette decisamente anticlericali.
E i promotori della rivista, che poi erano quella roba là, Comunione e Liberazione, premevano per il mio allontanamento. Ad onore del vero e del direttore Giuli devo dirti che lui mi ha pubblicato finchè ha potuto. Poi, a un certo punto mi ha detto: “non posso”. E io ho replicato che finiva lì.
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