Dalla musica progressive dei Settanta alla new age, passando dalla canzone d’autore e le collaborazioni con Battiato, Fossati e De André . “È l’arpa la mia signora! Dal vivo preferisco stare solo con lei”
Modenese di nascita, siciliano di origini, Vincenzo Zitello è l’arpista più talentuoso in circolazione. Ma non suona l’arpa classica, bensì quella celtica e quella bardica. A dirla tutta è stato il primo a suonare e divulgare l’arpa celtica in Italia, in contesti musicali apparentemente lontani tra loro. Perché la sua è la storia di uno che non sta mai fermo. Lo ritroviamo nelle cronache degli anni Settanta a suonare musica prog, con i cantautori italiani negli anni d’oro della canzone d’autore, nelle rassegne di musica etnica o minimalista nel terzo millennio. Insomma è uno sempre attento alle evoluzioni della musica di qualità. Ha all’attivo 12 album a suo nome, più di 100 dischi in cui ha collaborato e una bacheca ricca di premi prestigiosi. Quando lo incontrammo per la prima volta girava con un furgone per potersi portare ai suoi concerti le sue grandi arpe, insieme a un piccolo impianto di amplificazione ben tarato sui suoi strumenti perché “non si sa mai cosa trovi sul posto”. Lo ritroviamo per questa intervista nel giugno 2022 d.c. (che non sta per “dopo Cristo” ma per “dopo Covid”). Inevitabile cominciare con la domanda “cosa hai fatto in questi anni?”, come nel film Cera una volta in America. Zitello, come Robert De Niro nel celebre film di Sergio Leone, risponde “sono andato a letto presto”.
Ho fatto un tampone e ho scoperto di avere il Covid, con effetti leggeri, una lieve febbre a cui è seguito un forte raffreddore. A quel punto mi è venuta un’ansia terribile. Una cosa allucinante. Pensa che continuo a prendere sonniferi per dormire. Da quel che dicono in molti, i postumi da Covid sono lunghissimi e diversi da soggetto a soggetto. Io poi ho spesso sofferto di ansia, che diventa paranoia. Quando qualcosa non va come dico io, ne soffro enormemente e somatizzo con un senso di ansia. Mi succede da quando avevo diciotto anni. Ora magari c’è anche la consapevolezza di invecchiare e magari, a 65 anni, illudersi che i vecchi sono sempre gli altri, quelli più grandi di te. Un modo di guardare la realtà che credo appartenga alla nostra generazione. L’altro giorno sono stato con Lino Vairetti degli Osanna, che hanno festeggiato il loro cinquantennale artistico. Ho suonato nel loro ultimo album e ho preso parte al concerto celebrativo. Vairetti ha 74 anni ma quando ci parli o lo frequenti hai la netta sensazione che sia rimasto al massimo un quarantenne. Ha un’energia della Madonna. Si sbatte, organizza tutto lui, gestisce l’aspetto economico, è manager di se stesso e riesce ad aver tutto sotto controllo, a differenza di certi trentenni…
Partiamo allora dalla musica delle tue origini: il prog.
Io sono tutt’ora un musicista prog. Lo faccio usando strumenti acustici ma la sostanza resta quella. E me ne sono accorto qualche anno fa. Ho pensato che suonare non è solo usare uno strumento di cui hai assimilato la tecnica. Quello magari è un suonare non cosciente. Suonare è invece fare le cose in maniera creativa. Maturano così quelle coposizioni che appartengono alla dimensione artistica che non può prescindere da determinate esperienze. Se suoni l’arpa celtica su materiale folk non è vero che quello strumento possa fare solo quello. L’arpa celtica non è per me uno strumento folk ma un variante dell’arpa classica, in grado di realizzare idee molto innovative.
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