FUMETTO. Dagli esordi su Frigidaire con Ramarro, il supereroe masochista, alle tavole per Diabolik.
L’importanza delle riviste, del lavoro di gruppo e delle figure a cui ha dedicato alcuni dei suoi ultimi lavori, Pasolini e Scotellalaro «Per il recupero di una dimensione umana che dal mio punto di vista non può che essere poetica.»
Com’è arrivato il fumetto nella tua vita?
Se la generazione più recente cresce con TikTok, la mia è cresciuta col fumetto. Quando ero piccolo c’era un solo canale TV, ma in più noi bimbi vicini a Bari avevamo un bonus: i film trasmessi dalla Rai durante la Fiera del Levante di Bari: B-movie americani, fantascienza, cappa e spada, Maciste e i western. È così che si è formata la mia testa.
Quali sono i primi fumetti che ricordi?
Supereroi e Magnus, quelli dell’Editoriale Corno. Troppo giovane per Satanik, ma Alan Ford… hai voglia!
Quindi è Magnus il tuo riferimento.
Insieme ai grandi della Marvel, Jack Kirby, John Romita, John Buscema…
Quando hai cominciato a pensare di fare i tuoi fumetti?
La mia idea era di fare l’archeologo, anche se ho sempre disegnato; mio fratello credo conservi ancora la tovaglia rossa che usavamo a casa per non sporcare il tavolo con i nostri disegni.
Hai imparato da solo?
Sì, guardando i fumetti. Ricopiando con la carta copiativa, tanta era la tigna, la voglia di imparare a farli. È servito a educare la mano ai giri da fare, così dopo un po’ la carta carbone non serviva più, certo i disegni venivano ancora stortignaccoli…
Sei poi passato a Frigidaire.
Diventavo grandicello, erano arrivati gli anni Ottanta e tutte le grandi riviste. Già su Skorpio e Lanciostory pubblicavano grandi argentini, dai Breccia ai García Seijas ai Giménez; sul Corriere dei ragazzi e sul Giornalino c’erano Toppi, Pratt, De Luca. Da lì si passava a Métal Hurlant e Totem ma la botta arrivò con Frigidaire e Alter Alter con i loro autori di pochi anni più vecchi di noi.
In un contesto culturale molto particolare — la musica, il cinema — a influenzare il tuo gusto, immagino.
Anche la politica. La nostra era una generazione di riflusso, avevamo una posizione di rifiuto ma comunque politica, non di completo distacco. Eravamo molto giovani, non avevamo le idee chiarissime ma cominciavamo a schierarci. Già scegliere fra Alter e Frigidaire segnava una differenza, insignificante a guardarla oggi, fra l’editore milanese blasonato e la rivista prodotta dagli autori stessi.
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