È il fotografo italiano più noto al mondo, ma ci dice che «Il futuro non appartiene al mestiere di fotografo. Né a quello di vivere del resto. Si vive sempre nel presente.» Lavora dal 1960 e dagli anni Ottanta fa parte della Magnum «Ho detto e penso che la fotografia sia memoria, racconto, viaggio. Senza queste tre cose non può esserci espressione, né vita.»
Ferdinando Scianna in un ritratto di Ismaele Bulla / courtesy dell’artista e Limina
Come fotografo è conosciuto non solo in Italia, ma nel mondo intero. “Faccio fotografie da quasi mezzo secolo. Dalla Sicilia a Milano, a Parigi, dall’adolescenza ai miei sessantotto anni di oggi, la fotografia è stata e continua a essere per me una passione, la conquista di un linguaggio, l’occasione di incontri, lo strumento chiave della mia vicenda umana”. Così si raccontava qualche anno fa Ferdinando Scianna nel suo Autoritratto di un fotografo (2011). Vincitore dell’importante Premio Nadar nel 1965 con il libro fondativo Feste religiose in Sicilia (con i testi di Leonardo Sciascia, con il quale prende l’avvio un fertile sodalizio intellettuale e umano), nel 1967 Scianna si trasferisce da Bagheria, la sua città natale in provincia di Palermo, a Milano. Qui inizia a lavorare come fotoreporter e inviato speciale per L’Europeo, diventandone successivamente il corrispondente da Parigi.
A Parigi conosce il fotografo Henri Cartier-Bresson, i cui scatti lo avevano influenzato sin dalla giovinezza. Nel 1982 Bresson lo introduce come primo fotografo italiano nell’agenzia fotografica internazionale fondata da Robert Capa, la Magnum Photos, di cui Scianna diventerà membro effettivo a partire dal 1989. Dagli anni Ottanta, Scianna lavora anche nella moda e nella pubblicità, divenendo anche in questi ambiti uno dei fotografi più apprezzati e richiesti a livello interazionale.
Negli anni, Scianna torna ripetutamente in Sicilia per ritrarre la sua gente e documentare le tradizioni ancora vive nell’isola. Con il concittadino Giuseppe Tornatore, in occasione del film Baarìa (ovvero Bagheria in dialetto siciliano), nel 2009 pubblica il libro fotografico Baaria Bagheria.
Tra fotografia e scrittura, il percorso creativo di Scianna è composito ed esplora diverse tematiche tra cui la guerra, il viaggio, la religiosità popolare, il misticismo. Delle sue fotografie l’autore afferma: “Le mie immagini, e non soltanto quelle siciliane, sono spesso molto nere. Io vedo e compongo a partire dall’ombra. Il sole mi interessa perché fa ombra. Immagini drammatiche di un mondo drammatico”. E ancora: “Il mio mestiere è fare fotografie e le fotografie non possono rappresentare le metafore. Le fotografie mostrano, non dimostrano”.
Anche l’intervista che segue è umbratile e assertiva. Frutto di un botta e risposta epistolare avvenuto nel gennaio 2022, contiene frasi lapidarie, aforismatiche, perentorie. Con questa brevitas antinarrativa, Scianna pare assumere una presa di distanza che invita l’interlocutore ad immaginare da solo ciò che va oltre il detto, proprio come la sua fotografia invita l’osservatore a immaginare ciò che rimane fuori dalla cornice.
Partiamo dalla fine. In un’intervista recente (Artribune, novembre 2021), lei ha dichiarato che la sua prossima mostra si intitolerà Che Cosa diavolo è la bellezza?, dato che “quando mi è stato proposto di esporre una serie di foto sulla bellezza ho risposto così al telefono.” Cosa c’è a suo avviso di sbagliato nell’immaginario collettivo legato alla bellezza oggi?
Niente di sbagliato. Tutti crediamo di sapere che cosa è la bellezza, nessuno la saprebbe definire. Nessuno potrebbe farne a meno. Niente è più inutile di una bella foto. Se una foto racconta quello che il fotografo vuole raccontare, allora è una buona foto.
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