Scrittrice e sceneggiatrice, dal 2023 è la curatrice di Dylan Dog, il personaggio Bonelli creato da Tiziano Sclavi che, durante la crisi del fumetto degli anni Ottanta, «Ha segnato un’inversione di tendenza nelle vendite “nonostante” fosse un fumetto autoriale.» Tutto è cominciato quando «Qualcuno mi ha detto “Sei brava a raccontare storie, perché non le scrivi?”».
Barbara Baraldi in un ritratto di Ettone
Debutta da scrittrice nel 2006 con lo pseudonimo Luna Lanzoni, pubblicando il racconto Una storia da rubare, e si aggiudica il premio Gran Giallo Città di Cattolica. Da quel momento per Barbara Baraldi è un susseguirsi di nuove pubblicazioni: romanzi polizieschi, thriller, gialli, narrazioni tra il paranormale e l’horror psicologico per editori come Perdisa Pop e Mondadori. Per la Newton Compton realizza cinque guide alla città di Bologna. Si aggiudica mezza dozzina di premi letterari e entra di diritto in quel gruppo di scrittori italiani che per un documentario della BBC rappresentano l’Italian noire. La scrittrice emiliana non si fa mancare nulla e scrive anche sceneggiature per i fumetti, soprattutto per Dylan Dog, tra i personaggi di punta della “Fabbrica dei sogni” di Sergio Bonelli. Dal maggio del 2023 è la curatrice della testata Dylan Dog con la benedizione di Tiziano Sclavi, visionario creatore del personaggio. La sua missione diventa pertanto quella di rilanciare “il nuovo inizio” di un fumetto seriale che da sempre ha i connotati dell’autorialità.
Qual è stato il suo primo incontro con il thriller e con l’oscurità?
Da bambina, probabilmente, non tanto con le fiabe (che sembravano scritte apposta per spaventarmi, come la mia preferita, Barbablù), ma con i racconti del tempo della guerra di mia nonna. Sono cresciuta in Pianura Padana che, a dispetto della piattezza del panorama, cela anime inquiete. Amo dire che la Bassa è uno stato d’animo.
Come ha capito che la scrittura sarebbe stata la sua vita?
Da bambina, alle elementari e alle medie, partecipavo ai concorsi letterari indetti dalla scuola e li ho sempre vinti. Erano qualcosa come il miglior tema su un argomento vagamente sociale, come “l’importanza di risparmiare”, per esempio. Il premio era un librettino di risparmio offerto dalla banca del paese, con dentro centomila lire. Un vero tesoro, per me, che quando vedevo la paghetta era di cinquecento lire per le caramelle, o il cinema parrocchiale, in cui davano filmoni come Maciste nella terra dei ciclopi o Le fatiche di Ercole, ma queste sono altre storie. Ricordo che una volta avevo scritto persino un giallo, in cui l’assassino si rivelava il gatto del vicino (nel colpo di scena finale, svelavo che la coppia uccisa era formata da due rondinelle). Da adolescente, quando dovevo fare da babysitter ai miei fratelli più piccoli, avevo l’abitudine di raccontare loro storie. Non ho mai smesso di farlo, nemmeno da adulta, lo consideravo un passatempo per riempire lunghi viaggi, o momenti di relax. Tuttavia, pur essendo una forte lettrice, non ho mai pensato di riversare le mie storie sulla pagina. Quando qualcuno mi ha detto “Sei brava a raccontare storie, perché non le scrivi?” mi si è aperta la porta su un mondo di cui non avevo considerato l’esistenza. Ho iniziato subito scrivendo un romanzo, utilizzando ogni momento che avevo libero. Impiegai cinque settimane. Da lì ho capito che non avrei potuto più vivere senza la scrittura e, visto che non sapevo bene come contattare gli editori, tentai con i concorsi letterari, che già da bambina mi avevano portato fortuna. Mi permisero di essere notata da editor come Sergio Altieri e Luigi Bernardi. Bernardi è stato il primo a commissionarmi una novella (nerissima).
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