«L’arte secondo me deve sempre aprire, ti deve offrire dei modi nuovi di interpretare la realtà, che possono essere salvifici. Se davanti a te hai solo una porta chiusa, implodi. Invece una parola, un’immagine, qualcosa che faccia funzionare la tua immaginazione e che apre dei nuovi scenari, diventa motivo di vita.»

 

Cristina Dona deSidera promo 2021 foto Francesca Sara Cauli 10

Cristina Donà in un ritratto di Francesca Sara Cauli (Dettaglio)

 

Partiamo da DeSidera, il tuo ultimo disco uscito a fine 2021. Pur non essendo un concept album con tutti i crismi, ha una forte unità concettuale, esplicitata fin dal titolo che richiama ciò di cui parli in gran parte dei brani. Non è la prima volta che una tua produzione è costruita attorno ad un concetto forte, penso ad esempio a La quinta stagione. Quanto è importante questa voglia di sviscerare un concetto per far partire il tuo processo creativo?

È una possibilità tra tante, che in realtà spesso si concretizza alla fine della scrittura. Ne La quinta stagione ero effettivamente partita dal concetto di quinta stagione, perché allora mi interessavo alla medicina tradizionale cinese, leggendo libri e confrontandomi con persone che la stavano studiando. Questo momento di passaggio, che è una stagione intermedia tra l’estate e l’autunno, diventa il momento in cui ci si prepara all’inverno, si passa dalla luce al buio che sta per arrivare, e diventa metafora del guerriero che si prepara ad un momento difficile e che è un personaggio che fa i conti ogni giorno con la morte e con la paura. Ciò corrispondeva a quello che stavo vivendo in quel periodo, era un riferimento anche emotivo importante per me, un fulcro attorno al quale ho costruito le canzoni. Per DeSidera ho scoperto solo dopo che il desiderio era il tema conduttore del disco, quando gli dovevo dare un titolo e ho analizzato i testi delle canzoni. Quello che emergeva fin da subito era la necessità di una sorta di autoanalisi personale e collettiva. C’era quindi qualcosa che tornava, ma non era premeditato. Ho cercato di seguire la mia necessità di raccontare in questa fase della mia vita. Al di là di un tema che può ricorrere e può unire le canzoni di un album, avere un appiglio quando si inizia a scrivere o mentre si scrive è importante, perché poi costruisci attorno ad esso e fai delle ricerche dedicate, come ho fatto ad esempio con l’etimologia della parola “desiderio” per l’ultimo disco. È incredibile come rappresenti il concetto del desiderio, perché significa mancanza di stelle, ma anche appartenenza ad esse. È incredibile come questa mancanza, che è una caratteristica propria dell’essere umano, che ha sempre la sensazione di doversi rifinire o addirittura una perenne insoddisfazione, possa essere vista in modo poetico come lontananza dalle “mamme” che ci hanno creati, in quanto chimicamente siamo polvere di stelle, se ci pensi.

 

 

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L'articolo integrale è pubblicato nel n. 4 di Awand, estate 2022.
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Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Nasce nel 1984. Studi liceali e poi al Politecnico. La grande passione per la musica di quasi ogni genere (solo roba buona, sia chiaro) lo porta sotto centinaia di palchi e ad aprire un blog. Non contento, inizia a collaborare con alcuni siti (Indie-Eye, Black Milk Mag, Vorrei) fino ad arrivare qui. Del domani non v'è certezza.

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