Fulvio De Rosa racconta la storia del locale di Trezzo sull’Adda e come cambia il settore. «Il mondo dei club è sempre stato l’avamposto per la gavetta di artisti a inizio carriera. La scena urban-hip hop di oggi, con le sue esplosioni di notorietà, non la pensa più così.».
Il Live Club di Trezzo sull’Adda è uno dei locali più amati e frequentati dagli appassionati della musica dal vivo, con oltre 25 anni di storia alle spalle. Abbiamo ripercorso questo quarto di secolo assieme a Fulvio De Rosa, proprietario e Direttore Artistico/Head Manager del Live, una storia fatta di azzardi, tenacia e competenze necessarie per sopravvivere a quasi tre decenni di cambiamenti.
Inizierei questa intervista chiedendoti un riassunto della storia del Live.
Il mio background non è legato alla musica rock, ho studiato come ragioniere poi a 20 anni ho aperto un negozio di videogames a Monza, perché mi vedevo come imprenditore. La vicenda del Live è nata fortuitamente. Un mio amico voleva mettersi in proprio, aprendo una birreria come si usava a fine anni 90. Ci è stato proposto questo locale, che non conoscevo perché ai tempi il mio unico legame con la musica era fare il DJ techno/hardcore in alcune discoteche. Non sapevo invece nulla della musica dal vivo e del pop/rock. Ci siamo innamorati subito del posto, c’era un bellissimo clima, quindi ci siamo lanciati in questa avventura. Dopo un tragico evento, la morte dell’amico con cui avevo iniziato l’attività, mi sono trovato a gestire interamente questa struttura, anche dal punto di vista artistico. Era il 1999.
Come si affronta quindi la gestione anche artistica di un locale del genere?
Mi sono messo a studiare, sia sui libri che frequentando tutti i club che allora funzionavano. Ho cercato di creare delle connessioni sul territorio, che ai tempi era facile perché c’era una predisposizione in questo senso da parte di tutti gli operatori, penso al Bloom di Mezzago ad esempio. Ho anche avuto la fortuna di incontrare Claudio Ongaro, che allora era un agente che collaborava con il Motion di Zingonia, che era il nostro competitor più forte ma con una gestione un po’ stanca. Con la nostra voglia di fare siamo riusciti ad ottenere l’organizzazione dei concerti di alcuni artisti indipendenti gestiti da Claudio, staccandoci dalle cover e tribute band che facevamo suonare in precedenza. Nel frattempo, abbiamo stravolto la struttura, che all’inizio era davvero striminzita, investendoci molto. Abbiamo investito anche sul materiale tecnico, senza lesinare. Siamo uno dei pochi locali che ha sempre comprato tutta l’attrezzatura, non noleggiamo come invece fanno molti altri. Abbiamo anche fatto errori madornali, dato che il successo del locale è stato improvviso ed esponenziale ci sono stati problemi di ordine pubblico, ad esempio alla prima data di Elisa dopo la vittoria di Sanremo 2001. In prevendita, che allora non era gestita elettronicamente ma fisicamente, andarono qualcosa come 2000 biglietti a fronte di una capienza legale di 300 persone. Con le autorità locali ci organizzammo per fare comunque il concerto, con una serie di accorgimenti. A seguito del concerto di Giuliano Palma della settimana successiva, con code dal casello di Agrate fino a quello di Trezzo, e vari problemi correlati, ci beccammo una chiusura punitiva di 15 giorni. Da quel momento però capimmo che avevamo fiuto e la giusta audacia, oltre alla capacità di fare bene i conti, che è necessaria, e il processo di crescita non si è più fermato.
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