«In tutto il nostro lavoro discografico, dal primo disco all’ultimo, affiorano alla luce per poi ritornare nella profondità della terra le radici che ci legano alla memoria musicale del luogo che ci ha visti nascere»
Enzo e Lorenzo Mancuso in una foto di Rino Labate
Intervistare Enzo e Lorenzo Mancuso, “in regime di Covid”, poteva risolversi con una e-mail di andata e ritorno: una raffica di domande e relative risposte. Ma sarebbe stato riduttivo. Le domande sono partite ugualmente e le risposte sono arrivate puntuali. È stato tuttavia prezioso integrarle con chiacchierate telefoniche e con le coerenti e puntuali risposte disseminate in docufilm dedicati al loro lavoro e scampoli di citazioni prese dai booklet dei dischi targati Fratelli Mancuso. Ma, quando eravamo convinti di aver chiuso “il pezzo”, è stato necessario ricominciare, perché accadevano altri avvenimenti che era impossibile ignorare. Sul loro cammino, questi missionari del suono e del verso, hanno incrociato tanta roba. In questo “pellegrinaggio” su sentieri di nicchia hanno inanellato traguardi impensabili, collezionato premi e riconoscimenti prestigiosi. Ultimo in ordine di tempo il Premio Loano con Manzanà (SquiLibri Editore), quale miglior disco “di ambito folk” del 2020. Ed è proprio Manzanà l’album che conserva, come in uno scrigno, le ultime note di Franco Battiato che ha arrangiato gli archi in quattro brani. Appena un anno prima l’Università di Messina conferiva a Enzo e Lorenzo il Dottorato honoris causa. Nella loro lectio doctoralis, dal titolo “Note d’autore”, si legge tra l’altro : “(…) oggi sappiamo di cosa è fatto un canto, sappiamo che c’entra, in qualche modo, con la vista di un paesaggio, con il calore di una stretta di mano, con il suono di una parola, con la ferita che è alla ricerca incessante di un nome che la identifichi, con il ricordo dei vivi non più vivi. Sappiamo, ed è questo soprattutto il nostro caso, che il canto è la nostra fratellanza, questa alternanza di respiro e di memoria che tiene viva la brace della voce e nella sua incandescenza si fonde in unico suono, gemito, espressione…”. Andando a ritroso, nel 2018 era arrivato il Premio Andromeda per la loro direzione artistica della rassegna Il Canto dell’Anima. E solo per rimanere nei premi ne vanno ricordati altri: il Premio Lo Straniero, il Premio SoundTrack Stars 70a mostra del cinema di Venezia e Nomination al Globo d’oro e al Nastro d’argento per la migliore colonna sonora del film Via Castellana Bandiera per la regia di Emma Dante. A quest’ultima li lega una lunga collaborazione teatrale. Compongono le musiche delle opere teatrali Medea di Emma Dante, Cercatori di tracce e Rumore di acque, di Marco Martinelli e Sette storie per lasciare il mondo di Roberto Andò. Ma ancor prima il cinema aveva sposato la loro musica nella pellicola The Talented Mr. Ripley di Anthony Minghella. La loro carriera musicale è costellata da innumerevoli concerti in Italia e in molti paesi del mondo. Nelle loro produzioni ritroviamo fior di musicisti come Giovanni Sollima, Antonio Marangolo, Mauro Pagani, Arnoldo Vacca, Carlo Pedini, Roberto Fabbriciani, Gabriele Mirabassi, solo per citarne alcuni. Qual è allora il segreto di tanto talento e ispirazione. Proviamo a scoprirlo in questa intervista.
La copertina di Manzamà (Squilibri Editore), Targa Tenco 2021 come miglior album in dialetto e Premio Loano 2021 come miglior album.
Partiamo dalla Spagna e da Joaquín Díaz, monumento vivente del folklore spagnolo: cosa ha significato collaborare con lui?
(Lorenzo) Abbiamo conosciuto Joaquin Diaz nell’agosto del 1984 a Soria, in Castiglia, al Congreso di Etnologia y Folklore, invitati, con un nostro concerto, a partecipare alla chiusura di quella edizione. Da quel primo incontro ha avuto inizio una lunga e ininterrotta frequentazione dalla quale abbiamo tratto una consapevolezza sempre nuova delle nostre possibilità artistiche.
Mara Cerri e i Fratelli Mancuso in “Occhi di vetro”, documentario di Angelo Loy sulla creazione del progetto serigrafico/musicale del 2015 per Else Edizioni.
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