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SPAZI CULTURALI. Paola Corti racconta l’esperienza della sala milanese: ex cinema parrocchiale, oggi punto di riferimento per il cinema di qualità. Il suo successo è legato a un modello innovativo che include multiprogrammazione, film in lingua originale, incontri con i registi e grande attenzione all’esperienza di proiezione. Attira un pubblico giovane e si propone come un luogo di “mutuo soccorso” e cultura popolare, valorizzando il rito collettivo del cinema

BELTRADE

 

 

Nato come piccola sala parrocchiale, il Beltrade di Milano negli ultimi anni è diventato sempre più punto di riferimento per il cinema di qualità in Italia, premiato da un grande successo di pubblico. Multiprogrammazione, lingua originale, incontri con i registi ed una grande attenzione al momento della proiezione gli ingredienti che hanno definito la sua specifica identità di sala. Un luogo in cui si respira l’aria del cinema di quando la gente andava al cinema, e in cui il film è sempre al centro dell’esperienza collettiva. Ne abbiamo parlato con Paola Corti che, insieme a Monica Naldi, lo gestisce e ne cura la programmazione.

Come è iniziato il vostro viaggio con la gestione del cinema Beltrade?

La sala credo che sia stata creata negli anni ‘30, quando sono stati costruiti il quartiere e la chiesa dedicata a Santa Maria Beltrade. La chiesa era prima situata in via Torino, in centro, poi è stata spostata dove siamo noi, in via Nino Oxilia. Assieme alla chiesa fu costruito anche il cinema, come spesso accadeva in quell’epoca. Il cinema ha poi avuto alterne fortune, ma è rimasto sempre aperto, gestito da volontari. Nel 2011-2012 siamo stati chiamati da uno dei volontari, che ci conosceva perché come società Barz and Hippo ci occupiamo dal 1996 di gestione di sale e arene estive, prevalentemente in provincia di Milano, e avevamo già collaborato. Questa persona ci ha contattati per capire se ci interessava gestire il cinema, perché con le forze dei volontari, e soprattutto con il passaggio al digitale, la cosa per loro diventava complicata e troppo onerosa. Su nostro suggerimento, la parrocchia ha partecipato allora ad un bando della Fondazione Cariplo, ma senza successo. L’anno seguente abbiamo provato a scrivere un nuovo progetto per lo stesso bando ed è andata bene. Grazie a quel finanziamento abbiamo iniziato a collaborare con la parrocchia nella gestione del cinema. Secondo l’accordo, loro mettevano la struttura e le utenze, noi mettevamo il nostro lavoro e la nostra esperienza. E se, pagati i noleggi, avanzava qualcosa avremmo diviso i ricavi. Esaurito il periodo di circa quattro anni coperto dal bando, abbiamo proseguito la collaborazione, non più come fornitori di un servizio, ma come gestori diretti attraverso un contratto d’affitto d’impresa. La sala è di fatto una sala della comunità perché è di proprietà della parrocchia di Santa Maria Beltrade, ma come gestori siamo totalmente autonomi. I rapporti sono sempre stati buoni e non abbiamo mai avuto nessun tipo di problema rispetto alle nostre scelte di programmazione.

 Siete stati aiutati nel vostro percorso da istituzioni locali quali Comune o Regione, o da altri enti pubblici?

Non abbiamo nessun tipo di contatto con l’amministrazione comunale di Milano. Negli ultimi tre anni la regione Lombardia ha esteso alle sale cinematografiche il Bando Next, prima dedicato solo al teatro, e abbiamo deciso di parteciparvi. Inoltre la sala è all’interno di Europa Cinemas, un’associazione o network di sale europee, che eroga un contributo annuale di qualche migliaio di euro. Sono sussidi a cui possono accedere tutte le sale cinematografiche aderenti a patto di garantire determinate percentuali di film nazionali ed europei nella programmazione. Siamo inoltre iscritti alla Federazione Italiana Cinema d’Essai e facciamo parte anche dell’Anec, associazione nazionale esercenti cinema, due associazioni di categoria.

Nel corso degli anni di vostra presenza nel quartiere, avete visto trasformazioni nel tessuto cittadino che anche il cinema ha accompagnato o addirittura innescato?

Il quartiere è certamente cambiato: a Milano le cose si modificano, talvolta nel bene e talvolta no. Adesso il quartiere è molto più vivace di prima, ma non credo che sia merito o demerito nostro. Quando abbiamo iniziato a gestire il Beltrade nella piazza di fianco c’era un solo bar che stava aperto di sera. Oggi il quartiere ha molti locali aperti prevalentemente o solo di sera ed è una delle zone di Milano in cui di recente è stata bloccata la concessione di licenze per i locali serali. Ad un certo punto il quartiere ha anche acquisito un nuovo nome e, come si suol dire una nuova “narrazione”, diventando Nolo, North of Loreto, ma è un nome che noi non usiamo. Oggi siamo dentro un tessuto vivace e sicuramente questo ci porta dei vantaggi: per esempio se uno arriva e per caso proprio quella sera la sala è piena, almeno si ritrova con molti posti alternativi dove trascorrere la serata.

 

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L'articolo integrale è pubblicato nel n. 17 di Awand, autunno 2025.
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Stefano Lorusso
Stefano Lorusso

Medico e cinefilo, affianca da anni al camice bianco l’amore per il cinema, considerandolo la migliore delle terapie. È stato collaboratore della riviste Nocturno e  I-filmsonline. Dal  2010 è nella redazione di Paper Street , per cui segue ogni anno la Mostra del Cinema di Venezia.  È autore di saggi pubblicati sulle raccolte Il Divo di Paolo Sorrentino – La grandezza dell’enigma (2012) e Cento registi per cui vale la pena vivere (2015), editi da Falsopiano. Ha collaborato alla creazione del portale Longtake con schede sul cinema di Spielberg, Antonioni, Rosi, Wenders. Nel 2017 fonda il circolo di cultura cinematografica “Formiche Verdi”, attivo nell’organizzazione di numerose manifestazioni e rassegne. Speaker radiofonico, cineblogger, collezionista, esplora il cinema in molte direzioni, dalla ricerca musicale a quella iconografica legata alla produzione di manifesti e locandine.

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