Natura, memoria e design in conversazione. La sua mostra “Cartografías en conversación”, nel settembre del 2024 in Villa Brivio a Nova Milanese, ha segnato una nuova tappa nella collaborazione per l’arte contemporanea in Bolivia tra la Fondazione Rossi e lo spazio mARTadero
Valeria, iniziamo da te.
Mi chiamo Valeria Antezana, sono boliviana e vengo da Cochabamba, ma da quasi cinque anni vivo a Bergen, in Norvegia. Sono qui da quando ho iniziato il mio primo master in design, poi ne ho fatto un secondo in cultura digitale. Attualmente lavoro come designer freelance, collaboro a diversi progetti e porto avanti il mio lavoro personale, che spesso nasce da relazioni affettive e da riflessioni su tematiche che riguardano il mio paese.
Come si è sviluppato il tuo percorso artistico?
Dopo la laurea in Bolivia, ho lavorato per quasi cinque anni nel centro culturale Proyecto mARTadero, a Cochabamba, un progetto realizzato in un ex macello in stato di abbandono. L’obiettivo era quello di creare impatti positivi sulla società partendo dalle arti e dall’attività culturale. È stato uno spazio fondamentale per me, non solo come luogo di lavoro, ma anche come ambito di crescita umana e artistica. Il mARTadero è stato il primo luogo in cui ho capito che il design poteva essere uno strumento per comunicare in modo visivo gli eventi e soprattutto era quello che volevo fare nella vita. E lì ho conosciuto anche Magda Rossi, con cui ho poi collaborato per il disegno del logo della Fondazione Rossi.
Quindi il legame con la Fondazione Rossi è nato in Bolivia?
Sì, esatto. Magda coordinava la sezione di arti visive presso il mARTadero, dove, come dicevo prima, abbiamo un’offerta ampia di progetti artistici. Ricordo che un giorno mi scrisse per chiedermi se me la sentivo di progettare il logo della Fondazione: mi mandò una foto – non so se fosse una radice o un frammento di tessuto – ma, comunque, qualcosa di importante per lei che rappresentasse un progetto in evoluzione, pur con legami solidi in partenza. Da lì ho elaborato alcune proposte. Il processo è stato fluido, quasi organico: non abbiamo fatto troppe alterazioni, credo che la proposta scelta fosse tra le prime. È stato un lavoro breve, ma sono felice che sia ancora il logo attuale.
Tornado ai tuoi studi: un bel salto, da Cochabamba a Bergen. Com’è stato questo passaggio?
Molto intenso. In Bolivia avevo studiato all’Università Mayor de San Simón. Dopo la laurea, però, mi sono presa una lunga pausa, prima di tornare all’università: quasi otto anni, durante i quali ho lavorato con il Proyecto mARTadero. Poi, quando ho deciso che volevo proseguire gli studi e approfondire l’ambito del design, ho iniziato a cercare un master in design. In Bolivia non esisteva ancora una formazione post-laurea in quel campo, e i programmi che trovavo in America Latina erano molto orientati al design commerciale.
E quindi hai guardato all’Europa. Perché proprio la Norvegia?
Per due motivi. Il primo è che i programmi norvegesi erano molto interessanti: aperti al design sociale, con laboratori molto ampi dal punto di vista fisico e dal punto di vista delle tematiche. Il secondo è più pratico: al tempo l’università di Bergen era gratuita anche per studenti non europei. Ora non è più così, purtroppo. Ma quella scelta mi ha aperto un mondo, letteralmente. E poi ho trovato legami affettivi e una natura che ti entra dentro. Mi trovo bene qui dove attualmente vivo, quando finirò tutti i corsi vedrò.
E come vivi il contrasto culturale, tra Bolivia e Norvegia?
Lo sento molto. All’inizio meno, ora di più. In Bolivia – e anche in Italia, immagino – si vive con i genitori molto più a lungo. Qui no, i giovani vivono da soli appena diventano maggiorenni e questo impatta molto sullo stile di vita. Ho lasciato casa, la mia famiglia, e a lungo ho avuto nostalgia. Ci sono tante cose che mi mancano, ma anche altre che amo della Norvegia: la cultura del tempo nella natura, il rispetto profondo per gli spazi verdi. È un modo diverso di abitare il mondo.
Parliamo della tua mostra Cartografías en conversación, mostra ospitata da Fondazione Rossi nel 2024: è molto più di un’opera artistica…
Sì, lo è. È un viaggio tra parole, corpi, territori con uno specifico focus sul tema degli incendi che ogni giorno sono una preoccupazione per il mio paese. Il progetto nasce durante il mio master in design, da una necessità interiore: ripensare il nostro rapporto con lo spazio, con la natura, con le altre specie. Volevo farlo attraverso il recupero di narrazioni indigene, che non fossero filtrate dal linguaggio dominante. E il punto di partenza è stata la Bolivia, il mio paese. Un paese ferito, ma ricchissimo di culture, in particolare quelle amazzoniche.
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L'articolo integrale è pubblicato nel n. 17 di Awand, autunno 2025.
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