MUSICA. Dopo la clamorosa reunion dei CCCP è tornato alla produzione da solista, ai suoi libri e ai suoi album, l’ultimo è dedicato a Pasolini e a un Paese allo sfascio: «Stiamo seppellendo questa nostra Italia, una signora ancora bellissima: così bella a volte che quando l’attraversi rimani senza fiato». La sua chitarra ha segnato alcuni dei dischi rock italiani più amati eppure oggi dice «Scrivere forse mi piace di più, è un linguaggio più adatto a me».
Il tuo nuovo disco P.P.P. Profezia è Predire il Presente comincia con un canto tradizionale, una villotta friulana, e con la voce di Carlotta Del Bianco che recita: «Io canto, canto, canto /e il perché io non lo so: io canto solamente per consolarmi me», ma l’arte è questo, una consolazione? un unguento per i malanni? Perché mi guardo intorno ed è tutto un fioccare di terapie: teatro-terapia, musico-terapia, arte-terapia... Nel 1945, Elio Vittorini cominciava l’editoriale per il primo numero del Politecnico con questa frase: «Non più una cultura che consoli nelle sofferenze ma una cultura che protegga dalle sofferenze, che le combatta e le elimini.»
Ti avrei risposto differentemente fino a poco tempo fa, forse anche solo un anno fa. Vivo in mezzo alle montagne e ho una considerevole età, ho piantato cinquanta ulivi e un castagneto di quasi un ettaro, questo mi dà uno sguardo lungo e la cognizione di avere una sostanziale fiducia nelle cose. Ma quello che sto maturando, e credo sia dovuto anche all’entrata in circolo del pensiero di Pasolini, è il pensiero dell’impossibilità dell’espressione artistica. Qualunque cosa noi possiamo fare, anche la più alta, la più elevata, si scontra contro questa impossibilità. P.P.P. Profezia è Predire il Presente è un album stampato su un dischetto cd, e indipendentemente dal suo contenuto tu non sai come ascoltarlo perché il lettore non esiste più nelle auto, non più nel computer, quello in casa si è rotto... Potrei metterlo su Spotify ma significherebbe condannarsi a una condizione da servo della gleba. Paradossalmente, se dovessi vendere un solo CD questa sera, guadagnerei più di tutto quello che Spotify mi porterebbe in un anno. Restiamo nella musica: mi guardo intorno e al di là dei grandi vecchi, quelli che considero artisti fratelli maggiori, gli ultimi ad aver maturato una evoluta coscienza personale, il resto è il quadro di uno sfacelo totale. Se alla musica viene assegnata una funzione di intrattenimento così totalizzante, tutto quello che resta è qualche ragazzino che scalpita (ed è sacrosanto) ma che difficilmente esce dalla fase giovanile. Faccio musica innanzitutto per me, perché lo sento quasi come un obbligo civile: il meglio di me che posso dare agli altri è in questo, è nei miei libri, nella mia musica. Lì viene fuori la parte migliore di me, quella più comprensiva, quella più intelligente, quella che cerca di capire, però so che mi devo fermare a quel livello, non c’è ulteriore possibilità. Pasolini oggi non potrebbe esistere. Se potessi parlargli non potrei dirgli «Ti è andata bene ad essere ucciso 50 anni fa» perché sarebbe terribile, però viene di pensarlo. Perché ci si dovrebbe sacrificare per questo paese come ha fatto lui? Decidere coscientemente di farsi ammazzare — perché lui aveva chiarissima in mente la strada che aveva imboccato, non possiamo pensare che sia stato un caso; poteva accadere quella sera o in un’altra occasione, poteva essere Pelosi (Pino, ad oggi l’unico condannato per l’omicidio di Pasolini. Ndr) come chiunque altro, ma lui lo sapeva e aveva deciso di andare avanti, sempre più isolato, sempre più desolato, sempre più terrorizzato — e mi viene di chiedermi: io per questo paese - non sono Pasolini e non arriverò mai a quei suoi vertici, - sarei in grado di fare una cosa del genere? Questo paese merita un sacrificio? Il mio mestiere mi porta a incontrare persone intelligenti in posti importanti, persone che vogliono vivere e custodire quei posti. E mi trovo a pensare che valga la pena di vivere anche soltanto per questo scambio. Non so se la musica lenisca le sofferenze, sicuramente le sottolinea. Ascolto solo musica sofferente perché mi ci ritrovo molto più che nell’intrattenimento, di cui non ho bisogno.
A cinquanta anni dalla sua morte, Pasolini è ancora attuale? Era lui avanti o è questo paese che non cambia mai, che semmai peggiora?
È il Paese che peggiora. Scrivendo La trionferà e L’eco di uno sparo sono partito dagli inizi dell’Ottocento; ti faccio un piccolo esempio tra i tanti: nel 1920 il Comune di Reggio Emilia aveva impiantato le farmacie municipalizzate per far sì che la medicina fosse nelle mani del popolo. Dove siamo ora? La medicina ci sovrasta, è un incubo ormai. Se guardi la televisione, sono tutti film americani. Forse dovremmo mettere un dazio, come vorrebbe fare Trump sui nostri prodotti, dovrebbero versarci fior di quattrini per questo indottrinamento. È tutto il Paese che peggiora, perché non c’è la capacità di decodificare musiche importanti, libri importanti, film importanti. L’abbiamo perduta, irrimediabilmente. Pasolini era molto più avanti di tutto questo, credo che abbia visto cose che noi ancora non immaginiamo e contemporaneamente questo nostro Paese è tornato decisamente indietro.
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