«L’arte è sempre stata per me uno strumento fondamentale sia per una personale ricerca, sia per tentare di operare cambiamenti di carattere socio culturale, ma nelle mie opere ho preferito esprimermi in modo indiretto, elaborando appositi strumenti per giungere alle persone».
Anna Valeria Borsari, Attraversarsi, 1977. Courtesy l’artista
È il 1977 e una giovanissima Anna Valeria Borsari percorre il Portico della Morte a Bologna: ogni sette secondi una diapositiva ferma il suo movimento fino a quando il portico è deserto. Attraversarsi è uno dei lavori d’esordio dell’artista bolognese e con precoce consapevolezza dimostra uno straordinario talento a raccontare la fragilità e la provvisorietà della vita.
I tuoi esordi artistici risalgono agli anni settanta, momento di grande fermento sociale e politico nel quale molte artiste hanno scelto di coniugare la propria ricerca artistica nella direzione della questione di genere, in nome di un’analogia allora diffusa fra poetico e politico. Nel tuo caso, invece, il focus del lavoro è sempre stato il tema dell’identità e il politico è rimasto ai margini. Quali esigenze ti animavano?
L’arte è sempre stata per me uno strumento fondamentale sia per una personale ricerca, sia per tentare di operare cambiamenti di carattere socio culturale, ma nelle mie opere ho preferito esprimermi in modo indiretto, elaborando appositi strumenti per giungere alle persone. Non ho poi sentito una particolare necessità di partecipare a gruppi femministi in quanto sono sempre stata libera da condizionamenti di genere; così ad esempio, a 24 anni, pur essendone innamoratissima, rifiutai di sposare Renato Barilli perché non voleva che sua moglie facesse l’artista, mentre io sentivo di esserlo e volevo esserlo. D’altra parte il ruolo dell’artista in ambito sociale mi è sempre apparso come un elemento con cui dovevo necessariamente misurarmi: nel ’77 feci a Radio Alice un paio di trasmissioni sulle potenzialità sovversive e contemporaneamente sulle facili mistificazioni del fare artistico e negli anni ho portato avanti più iniziative su problematiche di questo tipo.
Le motivazioni che mi hanno indotta ad operare come artista si trovano probabilmente in un’infanzia e in una adolescenza vissute in un contesto familiare difficile, e nel non riuscire in seguito ad adeguarmi alla cultura del tempo, dogmatica ed autoritaria, che peraltro molti intellettuali e movimenti studenteschi contestavano. Quel sistema culturale era connesso alla nostra tradizionale concezione di arte, che risale al Cinquecento, quando si è sentita la necessità di attribuire all’Arte verità assolute, bellezza, permanenza nel tempo: sostanzialmente certezze che erano venute a cadere per tutta una serie di eventi destabilizzanti e scoperte scientifiche che contraddicevano non solo le più comuni esperienze quotidiane ma anche le Sacre Scritture, lasciando le persone senza precisi punti di riferimento. In una sorta di percorso inverso, senza dare nulla per scontato, lavorando sulla relativizzazione delle nostre percezioni, delle nostre conoscenze e sui criteri su cui si fondano i processi di identificazione, ho pensato si potesse giungere a una liberazione da comportamenti coatti, oltre che al superamento di un’arte ormai obsoleta, ed eventualmente strumentale proprio per il mantenimento di tutto un sistema culturale. D’altronde anche molte ricerche in ambito scientifico, dalla fisica quantistica alla logica, oltre alla psicanalisi, stavano demolendo vari dogmatismi della società del tempo.
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