«Le cose personali si intrecciano con le cose collettive, è un gioco di specchi, si aiutano l’una con l’altra a non perdersi, come due farfalle che si rincorrono». La ricerca di Flavio Favelli è un caleidoscopio: moltiplica frammenti di vite, ricordi, fatti storici, abitudini e costumi. Svariati oggetti ne declinano le forme. Il vetro smerigliato che lo racchiude è quello di una finestra di una casa borghese dell’Italia di qualche decennio fa…
Flavio Favelli in un ritratto di Giovanni De Angelis
Vive circondato da oggetti e in continuazione ne cerca altri. Talvolta li trova, talaltra resta a mani vuote. Cassette dell’acqua, mobili, imballaggi, neon, pezzi di luminarie impiegate nelle feste folkloristiche nel sud Italia. E ancora, scatole, stoviglie, rivestimenti edilizi, lampadari e insegne di benzinai. L’elenco potrebbe continuare: giacciono silenti e accumulati in un magazzino fuori Bologna e poi capita di vederli nello spazio di un museo, di una galleria o dentro una casa, sapientemente orchestrati e, magicamente, animati da un intreccio di storie.
Ogni volta che mi sono avvicinata al lavoro di Flavio Favelli l’ho fatto con un’attitudine letteraria, come se dovessi leggere un libro e, per conseguenza, l’ho spesso percepito come un narratore. Probabilmente è un risvolto del mio essere affamata di storie, ma credo che ci sia un fondo di verità perché quando racconta i suoi lavori essi si rivelano un pretesto per addentrarsi in gomitoli narrativi che non si dipanano mai nell’evidenza visiva ed estetica degli oggetti proposti.
Ascoltandoti ho sentito storie di oggetti, di persone, di incontri e di ricordi, molte volte private, legate alla tua famiglia, al punto tale che anche la casa è per te un luogo di ricerca privilegiato. In che modo, attraverso quali rielaborazioni e con quali forme, la tua infanzia e la tua famiglia rientrano nella tua ricerca artistica?
Potrei dire che le opere che nomino sono tutte un po’ dei pezzi di casa, di quelle case dove ho vissuto. È una specie di religione personale, dove certi oggetti sono stati investiti da comportamenti, situazioni, accadimenti che li hanno ammantati di una certa energia che inesorabilmente luccica e chiama. Non potrò mai sapere dove pende la bilancia, se la mia storia familiare sia stata veramente complessa - a volte ‘ho paura’ che sia tutto un po’ una mia costruzione - o il mio immaginario sia così ricco, ma credo, in fondo, di essere stato un predestinato: una parte di me ha voluto che dessi delle indicazioni, dei punti di vista, di ‘rifare’ certe situazioni altre volte, coi suoi ambienti, con le sue cose. Ma tutte cambiate, tutte diverse, non presento ‘quelle cose, quelle case’, ma delle interpretazioni, dei pezzi differenti, delle ricostruzioni non fedeli, solo con l’aiuto delle ombre e dei ricordi di ricordi. Metto insieme, perché i pezzi sono sparsi dappertutto. Ricordo (ricordo tante cose, fin troppe) che una volta, facevo le medie, dissi a mia madre: “ma quando avrò tempo per le mie cose?” In qualche modo sapevo già. Non ho fatto né Istituto d’Arte, né Accademia, né il DAMS, ma ‘le mie cose’, avrebbero avuto a che fare con l’arte, perché è l’arte che le individua.
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