GIORNALISMO. Da trentatre anni racconta l’Italia ai lettori di Libération ed è quello che sognava di fare già da bambino. Il mestiere che cambia, le fake news, la crisi dei giornali, l’Europa in crisi d’identità, il Bel Paese sempre più conservatore, reazionario e invivibile per i suoi giovani costretti a cercare fortuna all’estero. I turbamenti nel raccontare il G8 di Genova del 2001 con i pestaggi alla Diaz e la strage di migranti nel Mediterraneo
Dal 1992 vive a Roma ed è il corrispondente del quotidiano francese Libération, collaborando inoltre con diverse testate italiane - come La Stampa, La Repubblica, Rai News 24, Internazionale - e assicurando le corrispondenze dall’Italia alla Radio Televisione Svizzera. Parigino di nascita e romano di adozione, Eric Jozsef da trentatre anni segue le vicende del Bel Paese. Occuparsi di informazione e fare il giornalista è stato il suo principale obiettivo dopo aver conseguito una laurea in Scienze Economiche e una in Scienze Politiche. Appena lo incontriamo per parlare di comunicazione ci tiene a dirci subito che era quello che avrebbe voluto fare nella vita.
Quando avevo quindici anni, se uno mi avesse chiesto cosa avrei voluto fare da grande, avrei risposto senza esitazione che il mio sogno era fare il giornalista, possibilmente per Libèration e, magari, come corrispondente dall’Italia. Che è quanto mi accadde a ventisei anni. Insomma scelsi questo mestiere quasi da adolescente. Anche per passione civica e per il mio interesse alla vita pubblica e politica. Sono cresciuto quando in Francia i socialisti erano al potere con François Mitterrand. Per quelli della mia generazione l’impegno politico non passava più attraverso la militanza e l’iscrizione a un partito. Ma richiedeva altre forme di partecipazione. Molti miei coetanei e amici universitari fecero la scelta di lavorare nel settore culturale, nelle organizzazioni non governative o, appunto, nel giornalismo. L’idea era che la democrazia funziona quando i cittadini sono bene informati. Nell’agorà democratica è uno degli elementi necessari e primordiali. Ecco perché scelsi di fare questo lavoro, con la passione per il reportage, per raccontare soprattutto cosa succedeva all’estero. Oggi magari, con le nuove tecnologie, è possibile raccogliere notizie anche a distanza. Quando cominciai era invece necessario viaggiare. Essere sul posto dove osservare da vicino quello che accadeva e che meritava di essere raccontato. Quello che succedeva in Italia negli anni Ottanta era per me particolarmente interessante. Erano considerati “gli anni del riflusso” ma per me era una fase in cui in Italia tutto pareva possibile.
Erano gli anni in cui in Italia operava il più grande partito comunista europeo.
A diciotto anni giravo per l’Italia in autostop e ricordo che mi fermavo a mangiare alle Feste dell’Unità. Ed era anche un modo per conoscere meglio e capire questo partito che si chiamava comunista ma che in realtà era già su posizioni e pratiche molto socialdemocratiche, nonostante si portasse dietro la “mitologia” dell’Unione Sovietica.
Possiamo dire che in tutti questi anni il tuo mestiere è cambiato profondamente?
È cambiato radicalmente. Soprattutto il lavoro del corrispondente, che era quello di fare da intermediario tra la notizia e i suoi fruitori. Che consisteva nel dare forma alla notizia e metterla a disposizione del lettore o del telespettatore o dell’ascoltatore radiofonico. Per dire: quando io nel febbraio del 1992 sono arrivato in Italia scoppiava Tangentopoli. Cominciava Mani pulite con l’arresto di Mario Chiesa. Il ruolo del corrispondente era trasmettere la notizia in maniera primordiale. Certo, si provava a contestualizzare quanto si comunicava ma si faceva soprattutto cronaca. Che fosse politica o sociale, che dir si voglia, era comunque trasmettere sostanzialmente la notizia. Oggi non è più così: la notizia arriva su tutti i canali informativi velocemente e impone al corrispondente di fare un lavoro più di commento. A discapito dell’importante ruolo che un professionista svolge andando a verificarne l’attendibilità, a controllarne le fonti, ad indagarne la veridicità.
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