Arte e scienza. Un collettivo di ricercatori provenienti dal mondo dell’arte e delle neuroscienze, attivo in diverse aree disciplinari: dall’arte visiva alla neurobiologia, dalla neuropsicologia al design, dalla linguistica alla storia dell’arte, fino ad arrivare alle digital humanities.
Ritratto di Numero Cromatico, fotografia di Serena Eller Vainicher
Do we prefer a painting made by a human being or one made by artificial intelligence? Con questa domanda il collettivo Numero Cromatico interrogava il pubblico di ArtVerona, nel 2019, coinvolgendolo in un esperimento di neuroestetica sulla valutazione di opere d’arte. Realizzato in collaborazione con BrainSigns e in partnership con Untitled Association, questo progetto ha portato a Numero Cromatico il riconoscimento come miglior spazio indipendente in Italia nel 2019. La loro storia, però, è ben più radicata e l’indagine con il pluriforme mondo dell’Intelligenza Artificiale è solo uno dei loro ambiti di azione.
Partiamo dai dati oggettivi (se esistono): siete nati, come collettivo, nel 2011. Chi era presente nel momento cruciale? Quale reagente ha generato le vostre prime azioni? In cosa sono consistite?
Il 2011 è stato l’anno di fondazione del gruppo, ma la nascita di Numero Cromatico risale a qualche tempo prima. In quegli anni Dionigi Mattia Gagliardi aveva avuto l’idea di creare un gruppo interdisciplinare e una rivista per promuovere una reale relazione tra arte e scienza in Italia, un territorio poco battuto all’epoca. In quei primi anni, sono stati diversi gli amici e le persone che hanno gravitato intorno a Numero Cromatico e che hanno anche contribuito alla realizzazione delle attività. Se vogliamo però valutare i dati oggettivi, le persone che hanno avuto un ruolo centrale nella crescita del progetto sono stati Dionigi Mattia Gagliardi, Giulia Torromino, Marco Marini, Manuel Focareta e poco più tardi Salvatore Gaetano Chiarella.
Lo scopo, sin dall’inizio, è stato anche quello di reagire a una situazione di stasi dell’ambiente artistico contemporaneo in Italia, che non teneva per niente in considerazione le nuove proposte artistiche e soprattutto non considerava più le teorie estetiche come fattore primario per la ricerca artistica.
Il 2011 è stato anche il periodo della crisi economica e culturale che, partita dagli Stati Uniti, ha visto i suoi anni più bui dal 2006 al 2013 con importanti ricadute su molti settori, tra cui quello artistico. Il sistema dell’arte contemporanea italiana si trovava in una sorta di stallo sia economico sia culturale e questioni per noi importanti, come ad esempio, il tema della ricerca e dell’avanguardia nella contemporaneità, la relazione tra arte e scienza, l’interazione tra opera d’arte e fruitore, il concetto di creatività; venivano o ignorate o trattate con superficialità.
Si tratta di questioni complesse, sedimentate, che possono sembrare insormontabili da affrontare. Qual è stata la vostra strategia di azione oltre le pagine della rivista?
Ci siamo mossi su più direttrici, andando anche a sostituirci ad altri attori che erano assenti nell’ambiente dell’arte contemporanea. Abbiamo fatto tutto da soli: opere, mostre, ricerca scientifica, produzione editoriale, progettazione culturale, costruzione di una comunità e una fitta rete di relazioni scientifiche. Tale approccio, seppure molto faticoso, è stata l’unica strada possibile per non rimanere soffocati dalle dinamiche superficiali dell’ambiente artistico.
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