«La cosa importante quando disegno sono io con la mia storia, con tutto il mio bagaglio personale, la mia esperienza, il mio lavoro, Il mio mondo. Per quello forse non mi piace neanche più leggere libri a fumetti, non sono più affascinato come ero da ragazzino. Uno potrebbe dirmi non sei più curioso, diciamo che sono molto curioso di quello che posso trovare dentro me stesso.»
Lorenzo Mattotti è probabilmente il più internazionale dei disegnatori italiani, vive da molti anni in Francia e disegna illustrazioni per testate come New Yorker, Le Monde, Das Magazin, Süddeutsche Zeitung. Dopo gli inizi underground, i suoi fumetti — realizzati da solo o con sceneggiatori come Tettamanti, Kramsky e Piersanti — hanno via via esplorato orizzonti sempre più lontani dalla cronaca e dal reale, in una ricerca sempre più interiore, lungo un percorso autoriale verso una realtà altra. Grazie a Logos che in questi anni li sta ripubblicando in edizioni molto curate, è possibile ripercorrere veri capolavori della narrativa disegnata come Spartaco, Fuochi, Stigmate, Caboto e molti altri, fino ai libri più recenti (da cui provengono quasi tutte le immagini del portfolio che segue l’intervista). Volumi in cui, come ci racconta in queste pagine, Mattotti non ha più voglia di perdersi in dettagli o di asservire il disegno alle parole.
Com’è l’Italia vista da lì?
La distanza ti dà uno sguardo molto più realista, molto più freddo, molto più distaccato. Discussioni su cui in Italia si passano mesi e mesi in Francia non interessano nessuno. D’altro canto io non sono molto dentro la cultura francese, credo di essere in una bolla culturale ormai da vent’anni, come probabilmente molti emigrati.
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