STORIA. Con la storica del contemporaneo scopriamo cosa significa fare ricerca nell’Italia del 2023. Gli incontri, la casualità, la questione della classe sociale. E poi gli argomenti che le stanno più a cuore: l’educazione, don Lorenzo Milani e Gianni Rodari, che «Da soli non avrebbero fatto molto.»
Vanessa Roghi in un ritratto di Chiara Pasqualini per il festival “Leggo per legittima difesa”
Come nasce il tuo interesse per la storia?
Sono cresciuta con una nonna, con l’abitudine ad ascoltare storie che avevano come protagonisti la guerra, la miseria, la miniera, l’emigrazione (anche se interna alla Toscana); ho imparato parole tipiche del discorso storico, per questo quando ho iniziato a studiare la storia seriamente sapevo di cosa si parlava quando si parlava di guerra, non era una cosa astratta. Poi ho avuto la fortuna di avere una professoressa di storia, Luciana Rocchi, appassionata di Carlo Ginzburg, ce lo fece leggere a sedici anni. Con ll formaggio e i vermi ho capito che si poteva studiare storia come se si studiasse la storia di mia nonna, come qualcosa di familiare. E da lì ho pensato, in modo naif se vuoi, che avrei fatto la storica nella vita. Venendo da una famiglia dove nessuno si era mai laureato prima di me era una scelta quasi velleitaria, nel senso che non sapevo cosa significava fare ricerca.
E perché la storia contemporanea?
In realtà volevo studiare storia moderna con Carlo Ginzburg e infatti mi sono iscritta all’università di Bologna nel ’91, poi ho scoperto che Carlo Ginzburg era andato negli Stati Uniti. Avevo letto tante volte Zazie nel metró di Queneau, e mi sentivo proprio Zazie, che arrivava a Parigi per vedere la metropolitana e la metropolitana era in sciopero. Sono venuta a Roma per incontrare il fidanzato di allora e degli amici mi hanno detto “Ma che storia moderna! qua bisogna fare storia contemporanea, perché la contemporanea è la chiave per cambiare il mondo”. Non volevo più stare a Bologna, Roma mi è sembrata più bella, c’era il sole, insomma mi sono iscritta a contemporanea, a Roma. Una scelta casuale, però poi ho tenuto la barra dritta e sono andata avanti.
Quanto sono importanti gli insegnanti e il caso.
Per me sono fondamentali, perché altrimenti è la storia familiare che ti determina.
Com’è vivere per una storica dell’arte nell’Italia di oggi?
Abbastanza frustrante, mi occupo di temi come l’educazione, che hanno sì una forte risonanza nel dibattito pubblico — e questo è un bene perché significa che hanno una dimensione pubblica fruttuosa e politicamente vivace — ma che mi provocano spesso una sensazione di deja vù per cui mi dico “Ma questo dibattito c’è già stato nel ‘54, nel ‘71, nell’82...” ed è un po’ frustrante perché vuol dire che non si è fatto tesoro di quanto già discusso. D’altra parte è vero che certi argomenti oggi incontrano delle questioni così nuove e complesse che diventano a loro volta nuovi. Pensiamo alla didattica dell’italiano nelle prime classi della scuola primaria, un argomento storicamente molto interessante perché incontra nella storia d’Italia prima l’immigrazione interna e oggi l’immigrazione tout court, è un tema antico ma molto nuovo.
Quante riforme della scuola hai visto da che hai memoria?
Se la memoria è quella della storica boh, infinite?
(...)