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SCRITTURA. Come narrare la realtà, Don DeLillo, la cultura pop, Milano e la scrittura nell’Italia del cambiamento climatico. Un dialogo sulle ispirazioni, i progetti e la poetica di uno degli scrittori più radicali della letteratura italiana.

giuseppe genna

 

Giuseppe Genna è uno scrittore, nato nel 1969 a Milano e autore di 23 libri pubblicati a partire dal 1999. Si definisce professionalmente impegnato nel mondo editoriale, ma ha avuto una breve esperienza di consulente tecnico presso la Camera dei Deputati. Con la sua scrittura ha attraversato il romanzo di genere, soprattutto noir e thriller, per poi arrivare alle opere più contaminate ed eterogenee degli ultimi anni. Il suo ultimo libro è Pianetica, scritto con Pino Tripodi e pubblicato nel 2022, che ha seguito Reality. Cosa è successo, pubblicato nel 2020 e dedicato alla pandemia da covid-19. Nel mezzo ha partecipato a movimenti, riviste e produzioni cinematografiche, che lo rendono protagonista per almeno tre decenni della vita culturale italiana.

Quando hai iniziato a scrivere o a pensare di essere uno scrittore?

La questione della letteratura mi si propone molto presto. È soprattutto la poesia, e principalmente Montale, a spingermi verso lo studio della poesia secondo novecentesca. Ho la ventura di crescere a poca distanza (intendo circa un centinaio di metri) dalla sede della cooperativa Intrapresa, fondata da Gianni Sassi, centrale estetico politica ed emettitrice geniale di proposte multidisciplinari abbastanza cruciali negli anni Settanta, dall’etichetta Cramps degli Area di Demetrio Stratos e Battiato e Finardi, dalla rivista “Alfabeta” a “La Gola” alla rassegna “Milanopoesia”. Qui capitano e si incrociano personaggi straordinari: da John Cage a Gian Emilio Simonetti, da Nanni Balestrini ad Antonio Porta a Francesco Leonetti. L’insegnamento di Antonio Porta ha svolto per me un ruolo essenziale. Dopo la sua scomparsa, molto precoce, mi raccolse e accolse l’editore Nicola Crocetti, che pubblicava ai tempi il mensile “Poesia”, rivista distribuita in edicola e capace di vendere 60mila copie al mese. L’esperienza come redattore presso Crocetti, fino al 1994, è stata un ulteriore periodo di formazione per me imprescindibile. Con la scrittura e la pubblicazione di un falso Luther Blissett, net.gener@tion, presso gli Oscar Mondadori, entro in contatto con la maggiore casa editrice italiana, potendo interagire con scrittori intellettuali ed editor per me determinanti, da Ferruccio Parazzoli ad Antonio Franchini e Antonio Riccardi a Stefano Magagnoli a Helena Janeczek. Da qui all’esperienza della rivista on line “Carmilla”, sotto la direzione di Valerio Evangelisti e con un apporto per me fondamentale di Wu Ming 1, il passo fu breve. Iniziai a pubblicare a fine Novanta e negli anni Zero testi apparentemente di genere, gialli e thriller e spy story soprattutto, inserendomi in una koinè che vedeva nella forma ibrida - e per me ibrida tra prosa e poesia - la cifra dell’epoca che si stava inaugurando.

Hai avuto una formazione classica?

Sì e no. Ho fatto il liceo classico a Milano, poi non ho terminato gli studi universitari di filosofia, perché lavoravo già e mi mostravo insofferente proprio alla forma accademica italiana di fine Ottanta. La mia formazione è essenzialmente letteraria e filosofica, con specifiche tensioni metafisiche. La metafisica orientale gioca un ruolo importante nello studio matto e disperatissimo di quegli anni. Dopo il periodo di apprendimento delle tradizioni poetiche, fu per me cruciale l’incontro con gli autori del secondo Novecento americano. Più che una formazione classica, diciamo che ho avuto una formazione.

 

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L'articolo integrale è pubblicato nel n. 9 di Awand, autunno 2023.
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Michele Cornacchia
Michele Cornacchia
È del '93 e vive tra Roma e Altamura. Si occupa di politiche pubbliche, economia della cultura e infrastrutture, cui si è dedicato per studio, lavoro e attivismo negli ultimi 10 anni.

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