Dagli esordi illustrando Conan Doyle al Bartleby disegnato come un unico piano sequenza. Passando fra i matti, l’insegnamento, le riviste, gli editori europei, la musica e le serate live, da solo o in compagnia di altri grandi autori. Tutto comincia guardandosi intorno, perché «Osservare è già disegnare»
Stefano Ricci Autoritratto con Elena
Leggo nella presentazione del tuo corso in Accademia delle Belle Arti di Bologna che prima di lavorare in aula chiedi ai tuoi studenti di uscire, fare un giro, dedicarsi «all’osservazione di un accadimento, di qualcosa che succede davanti ai loro occhi e che ha per loro importanza, in quanto ha una relazione con la loro condizione personale, con la loro vita». È un metodo che adotti anche per i tuoi lavori?
Sì, per me osservare è già disegnare. Non so disegnare quando sono in giro, anche se lo desidero molto e ammiro chi riesce a farlo. Accorgermi delle persone, della vita organica, degli animali, è una pratica molto intensa e non riesco a fare altro. Poi in studio le cose si riaffacciano nella memoria in una maniera molto misteriosa, può succedere subito oppure dopo anni. Ho una forte memoria visiva, è uno strumento utilissimo con le studentesse e gli studenti. Incontro circa cento persone ogni settimana e mi ricordo ogni loro disegno.
Cosa porta questi ragazzi in Accademia? Che aspettative hanno? Cosa vogliono fare?
Faccio un esempio, c’è una studentessa, molto brava. Sto seguendo la sua meravigliosa tesi. Con me le tesi sono delle maratone molto lunghe, lavoriamo un anno, un anno e mezzo. Incontro queste persone tutte le settimane, quindi vedo crescere il lavoro lentamente. Lei purtroppo, come succede sovente ultimamente, ha avuto dei problemi psichici, è delicato il lavoro con lei, bisogna fare molta attenzione. Però sono felicissimo della sua riuscita, è proprio sbocciata quest’anno. L’altro giorno mi ha detto che farà il tirocinio in una libreria e che il suo sogno è di diventare libraia. Sorpreso, ho mandato giù il boccone, però credo che sarà una libraia straordinaria. Io sono in ascolto, adoro insegnare. Per me è un grandissimo privilegio.
Che corsi tieni?
Sono tre. Il primo si intitola Disegni nel corpo, sul disegno del tatuaggio perché agli esami di ammissione ho notato tre studenti con tatuaggi meravigliosi e mi sono reso conto che alcuni miei amici come Ericailcane e Guido Volpi vivono tatuando, così come tantissimi studenti. Non sapendo niente di questa tradizione, ho proposto loro di studiarla insieme. Adesso stiamo per stampare un libro di 240 pagine per la mostra di fine corso. Il secondo si intitola Paesaggi di carne, è un progetto sul paesaggio in gemellaggio con l’Ècole Estienne di Parigi. L’ho diviso in due parti. Nella prima ho assegnato loro un racconto di Sebald, Le Alpi nel mare, dal libro sulla Corsica al quale stava lavorando quando è morto. Nella seconda parte ho proposto loro di scrivere un racconto personale e di disegnarlo. Con Sigaretten ne abbiamo fatto un cofanetto con un quaderno per ognuno di loro. Ogni studente ha montato il suo libro, andando in tipografia per seguire la stampa, la rilegatura... Il terzo è un corso piuttosto singolare, si chiama “The layout”. Non si fanno libri o riviste, è una grande palestra sul disegno per la quale quest’anno ho proposto un progetto che si intitolava Fuori di qui. Siamo andati ogni settimana in un luogo diverso della città, al chiuso o all’aperto. Tutti luoghi che per me sono dei diaframmi, dei passaggi. Per esempio le vecchie serre che si trovano proprio sul bordo tra il centro storico e le colline. Oppure siamo andati a disegnare nel Cinema Modernissimo dove c’è lo schermo, che è anche esso un diaframma.
(...)