Emily Dickinson scriveva su qualunque pezzo di carta le capitasse sotto mano. Amava le piccole carte accidentali ed effimere. Buste già usate, che apriva e rovesciava, pezzi di carta da parati, carte intestate di negozi, confezioni di tavolette di cioccolata, liste della spesa…
Sviati dalla loro funzione e scopo originari, questi frammenti consumati e fragili acquistano una personalità diversa. Da lembi di cose quotidiane e banali diventano cartine tornasole di un’esistenza tutt’altro che consueta, inscindibili dalla scrittura che li ricopre, fatta di mille sfumature caratteriali e umorali: parole svelte a rincorrere un improvviso stimolo o accurate, meditate; parole decise o esitanti, fitte o brevi, frettolose o morbide, arabesco là appunto qui, foresta di segni o parola nel vuoto, decontestualizzata. Frammenti variegati partecipi della poesia che portano.
A partire da questa avventura straordinaria e appassionante di scrittura poetica, l’artista americana Jen Bervin ha concepito tre libri a tiratura limitata: The Dickinson Composite (2010), The Composite Marks of Fascicle 16 (2010) e The Gorgeous Nothings (con Martha Werner nel 2013), tutti pubblicati da Granary Books, un editore newyorkese specializzato in pubblicazioni di riedizioni storiche, edizioni limitate e libri d’artista. The Dickinson Composite e The Gorgeous Nothings sono diventati in seguito delle pubblicazioni senza tiratura.
Emily Dickinson trascorse gran parte della sua vita tra le mura della casa paterna, senza più uscire e scrivendo circa 1800 poesie, 2357 bozze e più di 1150 tra lettere e prose. Non volle mai pubblicare nessuno dei propri scritti in vita. Tra il 1858 e il 1864 riunì i suoi versi in piccole cartelle, ciascuna contenente da 11 a 20 poesie. Nel 1981 l’Università di Harvard pubblicò i facsimile dei manoscritti, tra i quali una quarantina di questi fascicoli. In seguito dispersi, una parte di quei manoscritti venne acquistata da collezionisti privati e la maggior parte si trova oggi negli archivi di diverse biblioteche universitarie americane. Una delle più ricche e senz’altro la più interessante è quella dell’Amherst College, la cittadina natale di Emily, che procedette in modo sistematico alla digitalizzazione dei documenti, oggi consultabili on-line. È da questa ricca collezione che il lavoro di Jen Bervin ha attinto per la realizzazione dei tre libri d’artista.
The Gorgeous Nothings deve il suo titolo all’incipit di uno dei manoscritti conosciuto col nome di A 821: “the gorgeous /nothings/ which /compose /the /sunset /keep”. Il libro d’artista, tirato a 60 esemplari, possiede una grande qualità e sensibilità nella scelta dei materiali. Esso riunisce una cinquantina di facsimile delle poesie su busta di Emily Dickinson accompagnate da una guida con un saggio lirico di Marta Werner e uno studio visivo dei frammenti di Jen Bervin. Qui la Bervin circoscrive il senso del Nothing per la Dickinson, come “la forza che rinnova il Mondo” e la sua definizione del No, come la “parola più selvaggia che consegniamo al linguaggio”. Entrambi spiegati dalla poetessa in alcune lettere.
Per The Dickinson Composite e The Composite Marks of Fascicle 16 parallelamente ai due libri d’artista, realizzati su fogli di carta o tessuto e inseriti sciolti in un cofanetto, Jen Bervin riproduce su grandi pannelli di tessuto la caratteristica punteggiatura utilizzata da Emily Dickinson per annotare le variazioni di parole. Segni e parole sono ricamanti in filo di seta rossa su cotone. Questi segni sono stati raramente riprodotti nelle numerose edizioni delle poesie della Dickinson. Ciò rende l’operazione della Bervin ancor più interessante perché rintraccia il processo creativo della poetessa e recupera la gamma di varianti di parole, ricerca di giustezza alle proprie immagini e sensazioni poetiche. I segni riprodotti rappresentano una vera e propria costellazione grafica. Così il segno + precede la variante di una parola o di un’intera frase; la linea orizzontale – segna la fine della frase poetica. Alle volte le variazioni sono vicine alla parola esistente, altre se ne allontanano completamente dando più suggestioni, molto diverse tra loro.
Spiegando le intenzioni dei tre libri, Jen Bervin parla di una sorta di riparazione alle omissioni e del suo sforzo di recuperare ciò che di più potente, astratto e immensamente bello c’è nelle poesie della Dickinson, quei “Bellissimi Nulla”, che sono in realtà un’intera, ricchissima gamma di dettagli di squisita, intima, immensa importanza. “Quando noi diciamo piccolo - aggiunge significativamente la Bervin - vogliamo dire meno. Quando Emily Dickinson dice piccolo, intende dire tessuto, Atomi, Stella Polare”.
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