«Soprattutto ora che siamo sommersi dalle immagini, la finalità ultima di un progetto fotografico è il libro, è un po’ come un film. Una volta che il libro è montato, esiste ed è tangilbile, con un’apertura e una chiusura, con la sequenza delle immagini, con la sua narrazione.»

hugo weber

 

«Soprattutto ora che siamo sommersi dalle immagini, la finalità ultima di un progetto fotografico è il libro, è un po’ come un film. Una volta che il libro è montato, esiste ed è tangilbile, con un’apertura e una chiusura, con la sequenza delle immagini, con la sua narrazione. Lavorare per i giornali e le riviste non mi interessa, non siamo più negli anni Cinquanta o Sessanta quando Life ti pagava bene per fare un lavoro di sei mesi, fare il turista della disperazione altrui non mi interessa. Manca completamente di intimità con i soggetti trattati, neanche i giornalisti hanno più il tempo di capire cosa gli succede intorno, si vuole solo essere presenti e fare le “foto belle”.»
Parla veloce e ha le idee chiare Hugo Weber, francese del 1993, con Denny Mollica ha pubblicato 5341, volume dedicato alla vita dei ragazzi di via Boifava, fra piazza Abbiategrasso e Gratosoglio a Milano.
Arriva “per sbaglio” alla fotografia, a lui piaceva l’aspetto manuale dell’arte, del disegno, dei graffiti. A diciotto anni è un professore «illuminato» che gli fa conoscere il lento processo della fotografia analogica: un’ora di lezione, una di sviluppo, una di stampa. Come raccontano le pagine che seguono, Weber scatta prevalentemente ritratti dei suoi visi, dei suoi luoghi «Ma mi sono un po’ rotto, mi sembra di girare intorno». Intanto prepara il suo nuovo libro, dedicato stavolta a Monika, «pittrice drogata e transgender» che ha creato nella banlieu parigina una bidonville e l’ha chiamata Gravats, macerie. Outsider che vive di riciclo e che spende in crack tutto quello che guadagna dai suoi dipinti «Voglio mostrare il prezzo di quella scelta e il paradosso di cercare di stare fuori dalla società ma di viverci dentro. Tutte le persone che incontro ai Gravats hanno una forma strana di paranoia. Penso sia perché hanno ascoltato così tante bugie dall’establishment da iniziare a credere a cose assurde. Sto lavorando a un libro che spieghi tutte queste cose con al centro Monika che è la rappresentazione di questi paradossi, metà uomo e metà donna, dolcissima e molto violenta, molto felice e positiva ma anche molto triste e piena di rimpianti».

 

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L'articolo integrale è pubblicato nel n. 5 di Awand, autunno 2022.
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Antonio Ant Cornacchia
Antonio Ant Cornacchia
Grafico, art director, giornalista. Ha studiato all'Accademia delle Belle Arti. È il fondatore e direttore di Awand. C'è chi lo chiama Ant, che sta per formica.

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