L’approccio al libro d’artista di Angelo Barone è una peculiare mescolanza di concretezza e trasfigurazione, il luogo dove l’indagine formale, rigorosa e attenta, dialoga e si fonde alla sostanza più sensibile e inafferrabile. La sua ricerca di artista plastico, legata allo studio della forma e della materia, si unisce alla passione per l’architettura e la fotografia, e confluisce in un’idea di libro d’artista come oggetto che veicola meditazioni culturali e riflessioni su raffigurazione e visione.
Realizzato nel 2011 per la personale alla Galleria C&A di Amsterdam, Casematte è un leporello all’italiana che riunisce una serie silenziosa di scatti, in un racconto a pose singole, racchiuse dallo spazio pagina e sottratte al discorso continuo di un fregio fluido.
Il libro ripercorre il viaggio a piedi attraverso i bunker del Vallo Atlantico compiuto da Paul Virilio dagli anni ’50 per 17 anni. La serie fotografica “Bunker et archéologie”, esposta al Museo di Arti decorative di Parigi nel 1975, è uno studio sistematico e capillare dei bunker costruiti in territorio francese durante la seconda guerra mondiale. Virilio intendeva comporre una vera e propria catalogazione, approfondendo diversi aspetti delle costruzioni militari: la loro funzione, i rapporti con l’ambiente e il paesaggio, le caratteristiche formali. Barone ripercorre quel viaggio, ma con l’impossibilità dichiarata di poterlo compiere fino in fondo.
Per Angelo Barone già in sé stessa l’esperienza del libro d’artista è equiparabile ad un viaggio. L’attraversamento di un mondo che si svela allo stesso modo in cui, visitando una città sconosciuta, si svolti un angolo (qui una pagina) e si venga colpiti da un’immagine nuova, non riconoscibile o familiare. È lasciandosi andare alla stessa attitudine disponibile all’imprevisto e alla meraviglia che l’esperienza del libro si potrà compiere. Ma attenzione: l’avventura qui sarà piuttosto destabilizzante. In Casematte, il tema del viaggio viene infatti riproposto con mezzi e intenti profondamente diversi da quelli di Virilio. Piuttosto che memoria del vissuto e ricostruzione di un percorso storico, architettonico e ambientale, il libro d’artista di Barone si propone come “memoria della visione”. Se registra una testimonianza, è di altri e quindi mediata, ricostruita. La ricostruzione che ci viene offerta si affida ad un procedimento molto interessante e significativo. Viene fatta attraverso una sequenza di strumenti che valgono come filtri: la macchina fotografica, lo schermo del computer, di nuovo la macchina fotografica. Una triplice distanza. Il viaggio di Virilio viene cioè ripercorso virtualmente, attraverso immagini del web fotografate e poi ristampate. Un’operazione che registra solo lo scarto e l’inganno. Per questo Barone accentua le sfocature e i cromatismi. Così facendo evidenzia che quella a cui tentiamo di avvicinarci non è la realtà, ma il suo fantasma.
Il fuori-fuoco utilizzato dall’artista è un mezzo che si inserisce in un insieme di riflessioni più ampie. Visualizza in particolare il concetto di sparizione della riconoscibilità dei luoghi e la perdita di significato delle architetture abbandonate, ormai prive di nesso col contesto. Nate per un preciso scopo, venuto a mancare, se ne è perso anche il significato. Tuttavia, pur perdendo la relazione tra forma e funzione, ogni soggetto fotografato rimane fortemente caratterizzato. Progettate come “applicazione delle regole massime”, i bunker mantengono un fascino vagamente inquietante. Barone ne accentua il carattere straniante, ogni forma diventa un “continente alla deriva” dalla consistenza dubbia e spiazzante. Davanti alla sua apparizione sfocata tentiamo inutilmente una messa a fuoco impossibile.
Casematte diventa allora una riflessione sull’effimero della conoscenza visiva, sull’inevitabile distanza tra realtà e rappresentazione. Il fuori-fuoco fotografico non rappresenta, evoca. Casematte, come testimonianza di un viaggio non consumato, da un osservatorio sedentario e immateriale, diventa una non-testimonianza, un evento distorto, velatamente malinconico, in tensione tra il desiderio di vedere, conoscere, ricostruire, e l’impossibilità di farlo.
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