Awand. Rivista analogica di arti e creatività

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Era la fine di un pomeriggio passato nella neve, dicembre 1976. Il rientro a casa, c’era il tramonto di San Martino a coprirmi le spalle, il tempo di dare un’informazione a due fotografi dediti alla cattura di quell’innesto di fuoco nel bianco, “in fondo alla via, dritto fino alla chiesa”, e sarei arrivata al cancello. Sono certa che stavo inventando scuse per il ritardo, come sempre, fradicia di freddo negli stivali di gomma gialla, esausta di infiniti angeli a lasciare impronte di candore e imprecazioni giù a ridere, che lo spirito si temprava così in strada. Ricordo che fu un tutt’uno sentirmi avvolta dal calore dell’ingresso e da una voce che proveniva dallo studio dove mia sorella e i suoi amici, nella nebbia di sigarette e After Eight a dire Londra, ascoltavano musica. Andrea, Giovanni, Marco... venivo ammessa all’altare di un’età molto più grande della mia. Ero custodita e cresciuta da loro così che potessi avere due terreni di coltura, uno bambino e uno adulto, e darmi all’ebrezza dell’esplorazione in assoluta libertà e vertiginosa noncuranza parentale. Di anni ne avevo sette e addosso una spregiudicatezza dell’apprendere, del pronunciare irriverente, del saltare prima del previsto, che ancora controllo a stento.

Cornice a parte, la voce era di Tom Waits e usciva da Closing Time, il suo album di debutto pubblicato nel 1973. Cantava, con le sole dita sul pianoforte, Lonely.

È la fotografia di questo incontro che ha impressa la rivelazione che tento di dirvi qui. Entrai nello studio, dunque, andai sulla poltrona verde e rimasi ipnotizzata da quel canto che annullava la presenza di chiunque altro nella stanza. Prendendo a prestito le parole che da adulti usiamo per decifrare il discorso dell’infanzia, oso pronunciare intimo: Tom stava parlando a me, solo con me, la sua voce veniva dal silenzio e dal silenzio dell’intorno stagliava il mio sentire, la mia figura si sollevava lasciando sullo sfondo uno scenario che mai sarebbe stato come prima.

Ricordo di avere appena inteso il significato del testo aiutata da quella comprensione in musica che consente alla conoscenza di farsi penetrare dal vento del logos condiviso e poi… I still love you… finiva senza finire la canzone.

Attratta da quel trasmutare in sentimento sulle labbra il discorso d’amore, feci una delle più intense esperienze estetiche della mia vita: “ero completamente presa dai sensi”, come scrisse Pasolini a proposito di Bach. Tutti i miei atomi erano catalizzati dall’ascolto, nel caos totale ero ancorata solo a un rapimento a cui, turbata e incuriosita, affascinata, sentivo di non poter far altro che abbandonarmi. Chiesi, una volta finita, di rimettere la canzone. Invece di diminuire, la sorpresa aumentò. Una sensazione di calore si espanse dentro, mi oltrepassò, risucchiandomi in un vortice di novità indicibili. Provai un trasalimento che doveva vedersi in trasparenza anche fuori di me, gli amici di mia sorella me lo ricordarono per anni. Mi sentii fragile e potente insieme. In un pomeriggio di un dicembre qualsiasi compresi che il quotidiano si poteva squarciare a bordo di una vecchia poltrona da cui, grazie a Tom Waits, toccai il cuore indomabile della bellezza schiacciante e pericolosa, inoltrandomi in una vita di senso ben oltre la realtà bambina che vivevo. La rivelazione mi stava mostrando il nocciolo di un’autenticità che non percepivo di possedere. Non la riconobbi allora, mi mancava la consapevolezza lavorata dal tempo del vivere. Eppure, sentii il richiamo di una passione, i miei giorni sarebbero stati dedicati alla ricerca del frammento del sacro, dell’incanto, che si cela in ogni cosa. La rivelazione una volta vissuta è la stessa rinnovata a ogni occasione. È la rinascita concessa dai sensi pronti ad accendersi di fronte all’apertura di quella finestra sul mondo tanto cara a Remo Bodei: un’opera d’arte, un gesto, un angolo della natura, un’ebrezza, un viso… Forse, che Rivelazione non sia altro che innamorarsi ancora e ancora?

 

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L'articolo integrale è pubblicato nel n. 9 di Awand, autunno 2023.
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