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PROFESSIONI | CURATORE. Paolo Mele racconta il suo percorso nel mondo della produzione e della ricerca sul contemporaneao, fino all’approdo al centro per l’arte contemporanea Kora. «C’è un mondo dell’arte fatto di ricchezze o di logiche che esulano da quello che l’arte contemporanea dovrebbe fare, cioé porre domande, interrogativi, cercare di stimolare e arrivare tra la gente».

paolo mele kora 

Fischia e io verrò da te, Martina Melilli per A Sud di Marte, 2022 (Foto di Alice Caracciolo, dettaglio)

 

Un ex Castello, poi Palazzo Baronale, ora ospita un Centro del Contemporaneo, un luogo di produzione e ricerca, 1600mq dedicati a mostre temporanee e permanenti, laboratori e formazione. Uno spazio multidisciplinare al cui interno sono attive anche una biblioteca, un bookshop, un bar, un’area dedicata ai bambini e spazi per conferenze, eventi, performance e spettacoli dal vivo.

Paolo Mele, leccese, 42 anni, professione manger culturale, ma anche curatore, parola un po’ oscura.

Nel mondo dell’arte contemporanea è colui che si prende cura della realizzazione dei progetti affiancando talvolta gli artisti o, in alcuni casi, andando a scegliere delle tracce di lavoro e selezionando opere o interventi; tutte quelle cose che contribuiscono a costruire il senso di una narrazione che si vuole generare rispetto a un tema specifico.

Come sei approdato a questo mondo? Qual è il tuo background professionale?

Ho avuto sempre un interesse acceso nei confronti dei progetti culturali, fondando associazioni e avendo un ruolo attivo sin da giovane, nel mio paese. La spinta più forte è arrivata nel 2008 quando sono andato a lavorare per la Biennale dei giovani artisti dell’Europa e del Mediterraneo. Lì si è accesa ancora di più la passione per tutto il mondo artistico, della mobilità e dei processi legati al contemporaneo. Nel 2011 ho fondato la mia associazione Ramdom di cui tuttora sono presidente e direttore. Nel mezzo ci sono state altre esperienze sia di carattere formativo sia di carattere professionale.

Cosa c’è di diverso tra il fare arte e cultura e occuparsi di management culturale in un grande centro urbano rispetto a farlo in un luogo estremo, e questa è una delle tappe del tuo percorso, l’esperienza di Lastation a Gagliano del Capo.

Io dalla periferia ci vengo, ci sono cresciuto, per tanti anni ho vissuto quella situazione. L’essere nato e cresciuto, nella punta estrema del tacco d’Italia, a Santa Maria di Leuca, a Gagliano del Capo nello specifico, l’ho vissuto come una condanna perché lontano da tutta l’offerta culturale. Era difficile poter andare al cinema, assistere a concerti, avere biblioteche qualificate o, ancora di più, accedere al mondo dell’arte. Solo dopo molti anni, con l’esperienza maturata con l’università, con i viaggi, con l’Erasmus, con le opportunità di lavoro e non all’estero, sono riuscito a capire che in realtà quella situazione di estremità poteva essere un punto di forza più che un punto di debolezza, essere un punto di inizio e non una fine, essere il centro e non la periferia. Lì nasce tutta la narrazione attorno a Lastation, l’ultima stazione a sud-est d’Italia, che è già uno statement, è già metà del lavoro fatto quando si racconta un progetto culturale, c’è uno storytelling molto forte. Il resto è la grande difficoltà di lavorare in questi territori piccoli, fragili. I punti di forza non sono moltissimi, di sicuro c’è una componente umana, sociale di quei territori che fanno sì che si possa dare un valore aggiunto a tutto ciò che si fa e che si possa avere quello che in gergo nella progettazione viene chiamato in kind, ovvero tutto ciò che ha un valore non quantificabile da un punto di vista economico, ma che solo una comunità riesce a darti. Parlo di un insieme di relazioni sociali e culturali che ha valore perché sei cresciuto lì, perché hai intessuto relazioni con il vicinato, con il fabbro, con il falegname, con il ristoratore, tutti i valori aggiunti che poi emergono nello sviluppo dei progetti, a partire dalle residenze, uno degli strumenti con cui lavoro e ho lavorato tanto.

 

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L'articolo integrale è pubblicato nel n. 10 di Awand, inverno 2023-2024.
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Mino Vicenti
Mino Vicenti

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