Awand. Rivista analogica di arti e creatività

Arti visive. Da venticinque anni Nicolò Massazza e Iacopo Bedogni esplorano insieme video, installazione, cinema, performance e teatro d’avanguardia «Il nostro è un modo d’indagare il molteplice e il “kaos” che ha come conseguenza l’errore salvifico nell’arte. Sapersi esporre all’errore è sempre fertile e vivere ai margini delle zone di comfort ti salva dal “fare il mestiere”».

MASBEDO

I Masbedo in un ritratto di Alex Astegiano

 

Fra i vincitori dell’Italian Council 2022, MASBEDO, al secolo Nicolò Massazza e Iacopo Bedogni, da venticinque anni sono protagonisti di una costante esplorazione di linguaggi diversi: video, installazione, cinema, performance, teatro d’avanguardia e sound design.

Partiamo dalle presentazioni: MASBEDO sembra singolare ma risponde a due nomi. Quali sono stati i vostri esordi e le ragioni della scelta di lavorare insieme? Perché vi chiamate MASBEDO?

Ci siamo incontrati per caso, durante una lettura di portfolio di Denis Curti il quale aveva sottolineato le attinenze tra le nostre due ricerche. Seppur in uno stadio germinale, ci siamo piaciuti e non è stato casuale, visto che continuiamo a produrre il nostro mondo insieme da venticinque anni. Dopo la nostra prima mostra, nella quale i nostri cognomi comparivano distinti, ci è sembrato più opportuno fondere, oltre che i nostri intenti, anche il nome: il risultato è l’unione dei nostri cognomi, Massazza / Bedogni, e assume lieve sapore iberico. La nostra educazione non è stata figurativa ma, oggi più che mai, crediamo non sia importante: in un mondo così complesso, un “mestiere” vale l’altro e quel che conta è avere un fine preciso e determinato. Questo era chiaro tra di noi: volevamo indagare l’immagine con il media più affine al nostro tempo ed è così che abbiamo cominciato, anche se anagraficamente in ritardo rispetto ai tempi di marcia dettati del sistema.
Mi interessa molto il carattere ibrido della vostra ricerca. Video, cinema, teatro, arte contemporanea: costellazioni linguistiche in cui vi muovete come astronauti poliglotti per approdare spesso a territori non deputati all’arte.

Con quali alfabeti e lungo quali strade riuscite a esprimervi in maniera più efficace?

Siamo apolidi, senza fissa dimora: questo lo abbiamo introiettato da tempo e ne abbiamo anche pagato le conseguenze, ma è la scelta che ci consente il grado di libertà per poter lavorare soddisfatti. È stato il nostro modo di sopravvivere, prima di tutto a noi stessi, e poi alla noia della visione unica di qualsiasi sistema con cui ci siamo confrontati. La trasversalità ce la siamo cucita addosso in maniera sartoriale. Soprattutto nei primi anni, pochi, veramente pochi, hanno capito che il nostro era un modo d’indagare il molteplice e il “kaos” che ha come conseguenza l’errore salvifico nell’arte. Sapersi esporre all’errore è sempre fertile e vivere ai margini delle zone di comfort ti salva dal “fare il mestiere”. Oggi questa complessità è materia di esame e viene portata in palmo di mano: la nascita dei collettivi come incubatore di processi culturali e artistici, ad esempio, è diventato sistema, formalizzandone le modalità, soprattutto dopo l’ultima edizione di Documenta. Ecco, almeno di questo siamo fieri, cioè nell’aver creduto in tempi non sospetti e con grande anticipo che l’arte deve essere un processo plurale, creato da un pensiero guida che ne faccia la regia ma condiviso da una molteplicità di punti di vista che sposano l’intento. Detto ciò, essere astronauti, come dici tu, ci pone già fuori contesto e non serve essere poliglotti perché lì fuori non hai nessuno con cui comunicare. Non c’è nessuna eleggibilità nell’essere astronauti, sei solo più criticabile. L’indagine e l’istinto sono da sempre le modalità che accompagnano in percentuali differenti i nostri reciproci caratteri, ma il nostro incedere è sempre rivolto al potere seduttivo, mistificatorio e cieco che ha l’immagine nel suo essere contemporanea.

 

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L'articolo integrale è pubblicato nel n. 11 di Awand, primavera 2024.
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Federica Boragina
Federica Boragina

Federica Boragina (1986), dottore in ricerca in Storia dell’arte contemporanea all’Università di Torino, è attualmente impegnata come professore a contratto di Storia della Videoarte presso l’università Cattolica, dove si è laureata e specializzata, e come editor presso Electa. 

Dal 2009, con Giulia Brivio, ha fondato lo Studio Boîte, realtà dedicata all’editoria d’artista e sperimentale.

I suoi studi riguardano la scena artistica italiana del secondo dopoguerra, la cultura underground e l’editoria d’arte. 

Ha pubblicato Fabio Mauri. Che cosa è, se è, l’ideologia nell’arte (Rubbettino, 2012); Interno domestico. Mostre in appartamento 1972-2013 (con Giulia Brivio, Fortino Editions, 2013); Editoria e controcultura. La storia dell’ed.912 (Postmediabooks, 2021) e numerosi articoli relativi alle ricerche artistiche fra gli anni Sessanta e Settanta.

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